Biodiversità: il mistero del granchio di Roma …

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Biodiversità: il mistero del granchio di Roma e l’esilio inglese delle chiocciole polinesiane

BIGGI  mp3

granchio di roma

Emanuele Biggi, naturalista e fotografo, co-conduttore di GEO, la trasmissione di Rai3 che racconta la natura, è stato protagonista di in un incontro con il pubblico nell’ambito dei “Martedì della Natura”, organizzati a Roma organizzati dal Comando Unità Forestali Ambientali Agroalimentari Carabinieri. Biggi ha tratto spunto per il convegno dal suo libro fotografico, antologico di molti suoi viaggi in diversi contesti naturali del pianeta, e dedicato alla micro fauna. Il volume, edito da Daniele Marson e firmato insieme a Francesco Tomasinelli, è intitolato “Predatori del microcosmo. La lotta per la sopravvivenza di insetti, ragni, rettili e anfibi”. L’intervista è stata trasmessa da Radio Vaticana Italia nel programma “A conti fatti”, rubrica settimanale a cura della redazione di EconomiaCristiana.it.

Granchio Mercati Traiano

Gli insetti, secondo recenti studi, sono in diminuzione un po’ in tutto il mondo. Sembrerebbe un bene per noi esseri umani. È così?
All’apparenza si. Si pensa subito alla fastidiosa zanzara, alle mosche portatrici di malattie quando si posano sui nostri cibi. In realtà non è del tutto vero. Ci sono sicuramente dei fastidi derivanti dalla presenza di alcuni insetti, ma sono una minima parte di quello che invece è il servizio positivo di che questi animali rendono a tutti gli ecosistemi. Gli insetti, e anche altri animali come artropodi, crostacei e piccoli invertebrati, hanno un ruolo impressionante e imprescindibile nella corretta sopravvivenza degli ecosistemi. Noi siamo esseri viventi negli stessi ecosistemi in cui vivono questi animali, quindi la loro assenza o diminuzione deve sicuramente farci preoccupare; perché si destabilizza l’importante rete di interazioni che alla fine può portare a problemi per la nostra salute, ben peggiori del fastidio che può portare la zanzara o un altro animale.
Quando io ero bambino la “vulgata” definiva “malsano” l’ambiente degli acquitrini e delle paludi. Adesso però si lancia l’allarme sulla scomparsa, nell’ultimo secolo, del 90% degli ambienti umidi europei. Un fatto che va a discapito di una famiglia di animali che lei ama molto: gli anfibi.
Un tempo, quando non c’erano le cure per la malaria, sicuramente alcuni ambienti umidi possono aver giocato un ruolo cruciale nella diffusione di alcune malattie umane. Non è una cosa da negare. Ma, allo stesso tempo, la riduzione drastica degli ambienti umidi ha fatto sì che scomparissero tantissime specie di grande importanza, tra cui gli anfibi che sono legati alle zone umide in Italia come in tutto il mondo. La scomparsa di questi animali da inizio a un circolo “anti” virtuoso in qunato sono predatori del microcosmo: mangiano zanzare e altri insetti considerati nocivi, ad esempio per le colture umane. Si innesca un circolo vizioso per cui il predatore viene a mancare, ed aumentano gli animali che noi stessi consideriamo più dannosi e fastidiosi. Inoltre, mentre un anfibio ha bisogno di una pozza per riprodursi, alle zanzare e ad altri piccoli insetti basta molta meno acqua; perciò, mentre viene a mancare la zona umida “importante”, e magari bella, permangono comunque le situazioni in cui le zanzare e altri animali possono proliferare; e si destabilizza un ambiente. Le zone umide purtroppo stanno subendo una diminuzione drastica in tutto il mondo, per vari motivi legati quasi tutti all’uomo: i cambiamenti climatici indotti dalle pratiche umane; la distruzione diretta degli habitat, cioè, appunto, delle zone umide, per vari motivi; e poi la diffusione indiretta, quindi involontaria, di vari patogeni da un continente all’altro, che vanno a impattare sulle popolazioni di anfibi. Li stiamo veramente decimando.

lumaca-chiocciola-di-mare-fondo-marino-barriera-corallina

Lei è uno tra i più noti naturalisti e divulgatori scientifici. L’Italia è un paese interessato ai temi della conservazione della natura? o più allo “spettacolo” della natura? È difficile fare questo mestiere e far passare certi temi?
Parlo per esperienza personale. È molto semplice trasmettere interesse su questi temi quando si parla, ad esempio, dei modi di sopravvivere di questi animali, delle storie che li rappresentano in positivo: per le cose strabilianti che riescono a fare. La gente in questo caso si appassiona e si diverte. È più difficile invece far passare il messaggio della conservazione. L’ho visto varie volte, anche indirettamente. Per esempio mi è successo anni fa di leggere su un quotidiano ligure che una ditta aveva donato dei cartelli con scritto “Attenzione, attraversamento rospi!” a un comune vicino a Genova. Si era urlato alla connivenza con la ditta d’appalto, e il sindaco era stato deriso per l’installazione di questi cartelli. In realtà era una cosa molto seria, che non riguardava solo la conservazione di un animale; il quale, comunque, potrà anche non piacere esteticamente, ma ha un suo ruolo molto importante e cruciale. Era anche un problema di salute pubblica: perché quello di cui non si tiene mai conto, dal punto di vista pratico e cinico se vogliamo, sono le automobili che schiacciano i rospi, e creano sull’asfalto una situazione di grande pericolo per quelle che seguono. In Italia non si tiene conto degli investimenti di grandi animali, come i caprioli ad esempio. Sono milioni di euro che l’Europa, e non solo l’Italia, spende ogni anno per riparare ai danni ai veicoli incidentati per questo problema. Quindi, al di là dell’aspetto della conservazione che preme a me, c’è anche un problema di salute pubblica. Purtroppo questo alle volte viene bypassato, e la gente ancora non ha la percezione dell’importanza. È ciò che tutti i giorni cerco di far capire alle persone, senza indottrinare nessuno, portando le mie e le altrui ricerche per far capire l’importanza di questi animali, sotto tutti i punti di vista.
Di buono nel nostro paese c’è una grande varietà e biodiversità, anche nei posti e con gli animali più inaspettati. Seguendo la presentazione del suo libro, mi ha colpito lo “strano caso” del granchio di fiume dei mercati traianei. Come ci è arrivato?

lumaca-chiocciola-di-mare-strisciare-barriera-corallina

Quella è una delle storie più incredibili che abbiamo, come dico sempre, sotto lo zerbino di casa nostra. Roma non è solo la capitale, ma anche un esempio di come le città italiane, molte volte, sono ancora ricche di natura, proprio al loro interno. Il granchio di fiume vive in Italia; è una specie tra l’altro molto rara ormai, per via della distruzione dei suoi habitat. Sarebbe anche abbastanza resistente agli inquinanti, ma lo siamo comunque decimando in vario modo, nei vari fiumi in cui è presente, soprattutto sul versante tirrenico. Questa popolazione vive all’interno dei mercati traianei; è disgiunta dalle popolazioni più vicine, che si trovano ben al di fuori di Roma. Non si sa esattamente come ci sia arrivata: i dati storici arrivano fino al tardo medioevo, ma più in là non si riesce ad andare. Ci sono varie congetture su come sia arrivato. Per esempio attraverso il trasporto per i mercati medievali, o ancora precedenti, perché il granchio di fiume veniva storicamente consumato in Italia. Molto localmente per la verità; però veniva consumato. Questi granchi vivono nelle canalizzazioni, ormai schermate da griglie e chiuse alla vista, all’interno dei mercati traianei. Erano le canalizzazioni che portavano l’acqua fino alla cloaca maxima. Ci sono dei piccoli rivoli sotterranei, e questo granchio si è adattato a vivere e sopravvivere in questo ambiente. Ho avuto la fortuna di poter accedere a questo zone: il Direttore del Museo dei Mercati Traianei mi ha aperto le porte. È stato molto interessante poter fotografare alcuni di questi animali, nel loro ambiente “naturale urbano”.
Molti hanno animali in casa: a parte cani e gatti, anche piccoli animali come uccelli, o rettili come va di moda negli ultimi anni. Che differenza c’è tra appassionati di animali e collezionisti? Una questione che lei ha sollevato.
Chiaramente c’è un’etica diversa in ognuno di noi. Questo è un discorso su cui non mi soffermo più di tanto, perché è molto personale. C’è però sicuramente un discorso oggettivo. Rettili, anfibi, artropodi, insetti, crostacei, vengono allevati e riprodotti in cattività. C’è un gruppo di persone, di veri appassionati, in tutto il mondo (lo sono stato anch’io da ragazzino) che sognano magari di poter vedere questi animali in natura. Li studiano, sanno tutto di loro, e si trovano ad allevarne una parte in casa. A volte solo per lo svago di poterli osservare in tutto ciò che fanno nella loro attività quotidiana; altre volte perché, letteralmente, li studiano per delle ricerche, quindi in maniera professionale. Queste persone sono, secondo me, la parte più positiva: sono veramente appassionati che hanno un piccolo gruppo di animali. Non danno loro un valore monetario, se non il mero acquisto, magari dal negoziante, quando si tratta di privati. Non danno a questi animali un valore che esula da quello di mercato, che può essere giusto o sbagliato ma ora non è questo in discussione. Poi c’è una branca di persone in tutto il mondo, per fortuna piccola ma importante dal punto di vista della conservazione, che compra animali rari. Vanno a cercare le rarità, magari dai bracconieri: animali vietati che non si possono catturare in natura per poi essere allevati, oppure animali che già soffrono di altri problemi di conservazione, come la distruzione dell’habitat. Vanno a cercare proprio quegli animali, per pavoneggiarsi di avere l’animale che nessuno ha. Questo è un collezionismo, ed è ben diverso da chi ha una vera passione, studia e ricerca questi animali per altri scopi. Spesso queste persone non hanno neanche idea di come se la passino gli animali in natura; anzi non gli interessa più di tanto. Addirittura, più raro è l’animale, meglio è. Succede ad esempio in certa falconeria, o in altri ambiti come l’acquariologia. Succede veramente in molte branche del collezionismo di animali.
Dalla parte opposta c’è la funzione conservatrice dei giardini zoologici o bioparchi che dir si voglia. Lei ha fatto l’esempio della chiocciola polinesiana. Vogliamo raccontare questa storia?

Questo è il lato buono dell’allevare animali in cattività, del riuscire a farlo, dell’essere appassionati e del capire come si può fare. La storia delle Partula, chiocciole delle isole polinesiane, è emblematica. Sono chiocciole endemiche di alcune isole: vuol dire che vivevano solo ed esclusivamente lì. L’uomo ha introdotto delle chiocciole africane in queste isole, a fini alimentari. le Achatina, che sono scappate dagli allevamenti e si sono diffuse in natura, cominciando a mangiare non solo le foreste ma anche gli orti e tutte le coltivazioni umane; diventando quindi un animale “nocivo”. L’uomo ha pensato di porre fine alle Achatina immettendo un’ulteriore specie di chiocciola predatrice dalla Florida, la Euglandina rosea; la quale ha cominciato a mangiare non soltanto le Achatina ma soprattutto le Partula: le chioccioline endemiche della Polinesia. Questo mollusco predatore ha cominciato a mangiarsi i molluschi endemici facendoli scomparire letteralmente dalla faccia della terra. Ormai, della cinquantina di specie di Partula che una volta erano presenti nelle isole della Polinesia, ne sopravvive una minima parte. Mi pare che in tutto siano sopravvissute venti o venticinque specie. Dodici di queste specie sopravvivono solo in cattività. Cioè sono state salvate all’ultimo istante: sono stati presi alcuni individui, portati per esempio allo zoo di Londra e al Bristol Zoo Gardens, e li hanno riprodotti in cattività. La cosa bella è che sono riusciti a salvare una specie dall’estinzione totale. La cosa triste è che, attualmente, è impossibile liberarle nuovamente in natura: vivono in un limbo. Si spera di liberare, come si sta effettivamente cercando di fare, alcune zone delle isole della Polinesia da queste chiocciole predatrici, per poter reimmettere le Partula in natura. Nella sua tragicità questa è comunque una bella storia.
facile fare il naturalista in Italia? È consigliabile a un giovane che inizia a studiare?
Non è facile assolutamente. Per me non lo è stato. Io adesso conduco GEO, un programma bello e interessante, divertente: sicuramente un bel lavoro. Ma la mia vita di naturalista, prima di Geo, non era facile: ho dovuto fare tante cose da libero professionista. Si deve fare il consulente, magari per i parchi. Ci sono pochi soldi che girano, proprio per questa scarsa percezione in Italia dell’importanza del lavoro del naturalista. Non è facile, ma si può fare. Dico sempre ai ragazzi e ai genitori che me lo chiedono che dipende tutto dalla passione che uno ha. La differenza la fa il singolo: se uno pensa di fare il naturalista perché è un lavoro facile ha sbagliato tutto. Ormai funziona così anche per chi vuol fare l’ingegnere o il medico: c’è una saturazione di alcune facoltà e di alcune branche del sapere umano. Non è detto che un ingegnere lavori sempre, come si diceva un tempo. Però seguendo la propria passione, la propria idea, mettendo insieme tante cose, senza dormire e comunque dandosi da fare, sono convinto che le persone molto appassionate ancora oggi riescono a trovare la loro strada, nelle scienze naturali come in altri settori. Sono convinto che chi ha passione possa farcela, e che sia questo un percorso stupendo, che ci porta veramente a conoscere bene il nostro mondo.
di Giuliano Giulianini
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