Frank Drake, il primo cacciatore di alieni

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Frank Drake, il primo cacciatore di alieni

L’influente astronomo – scomparso il 2 settembre – ha gettato le basi dello studio dei segni di vita extraterrestri e ha contribuito a rendere il campo dell’astrobiologia quello che è oggi


Frank Drake, figura di spicco dell’astronomia planetaria e dell’astrobiologia che ha ispirato la fondazione del Seti, il programma dedicato alla ricerca della vita intelligente extraterrestre, è morto lo scorso 2 settembre all’età di 92 anni. “Frank è stato essenzialmente il pioniere del campo della ricerca della vita aliena come impresa scientifica, essendo il primo a condurre effettivamente esperimenti di questo genere”, ha dichiarato Bill Diamond, presidente del Seti, organizzazione di ricerca senza scopo di lucro, dalla sua sede centrale a Mountain View in California.
Drake è nato a Chicago nel 1930. Ha studiato ingegneria fisica alla Cornell University e poi ha prestato servizio come ufficiale responsabile delle apparecchiature elettroniche su un incrociatore della Marina statunitense per tre anni. In seguito ha conseguito il dottorato di ricerca in astronomia ad Harvard. Ha iniziato a ricercare prove dell’esistenza di vita extraterrestre nel 1960, quando lavorava per il National Radio Astronomy Observatory (Nrao) ai telescopi di Green Bank, in West Virginia. A sua insaputa, nel 1959, una coppia di fisici aveva pubblicato una ricerca che ipotizzava quanto lontano potessero viaggiare i segnali radio inviati da civiltà extraterrestri e se fossero ancora rilevabili da un ricevitore sulla Terra. “Si scoprì che la distanza era di anni luce – afferma Seth Shostak, astronomo senior del Seti –. Forse lo spazio pullulava di segnali, ma non li avevamo mai cercati”.
Il Progetto Ozma e l’equazione di Drake


Drake aveva già iniziato a compiere vari tentativi in questa direzione. Nel 1960 ottenne l’approvazione dell’Nrao per il Progetto Ozma (dal nome della principessa di Il Mago di Oz), il primo tentativo di ricerca sistematica di segnali alieni. Ogni giorno, per alcune ore, puntò un radiotelescopio di ventisei metri nella struttura su Tau Ceti e su una manciata di altre stelle, alla ricerca di picchi o fluttuazioni al di sopra del rumore di fondo che potessero rivelarsi segni di una trasmissione intenzionale. Si sintonizzò su una particolare gamma di frequenze, in particolare una vicina alla linea di emissione dell’idrogeno a 21 centimetri (la linea spettrale della radiazione elettromagnetica creata da un cambiamento nello stato energetico degli atomi di idrogeno neutri, ndt). Normalmente, si tratta di una parte “tranquilla” dello spettro – la maggior parte dei mondi ha poche emissioni in quella gamma – che quindi avrebbe potuto essere usata come “frequenza di chiamata” naturale. Ma a parte un falso allarme, probabilmente dovuto a un aereo, Drake e i suoi colleghi hanno rilevato solo elettricità statica.
Sebbene l’esperimento di Green Bank non avesse portato all’individuazione di alcun messaggio alieno, aveva mostrato come cercarli. L’Accademia Nazionale delle Scienze contattò Drake per organizzare una conferenza sull’argomento. Nel 1961 l’evento riunì un gruppo influente ed eclettico di scienziati, tra cui gli autori dell’articolo del 1959, un giovane Carl Sagan – che sarebbe poi diventato un assiduo collaboratore di Drake – e il chimico Melvin Calvin, un ricercatore specializzato sull’intelligenza dei delfini. In quell’occasione, quest’ultimo scoprì di aver vinto il premio Nobel.
Durante la conferenza, Drake iniziò a sviluppare una formula fondamentale che in seguito divenne nota come Equazione di Drake. Utilizzata ancora oggi in varie forme, questa formula cerca di stimare il numero di civiltà extraterrestri esistenti in grado di comunicare e che potrebbero tentare di inviarci messaggi. Le sue variabili includono il periodo di nascita delle stelle, l’abbondanza di pianeti che orbitano attorno ad esse, il numero di quelli che sono abitabili, la porzione di quelli su cui potrebbe svilupparsi la vita, la quantità di civiltà aliene che potrebbero trasmettere segnali rilevabili e la durata stimata di tali civiltà.
Mentre le variabili relative a stelle e pianeti possono essere circoscritte con una certa precisione, nessuno sa davvero per quanto sopravvivano le civiltà intelligenti. Dopo tutto, abbiamo solo civiltà terrestri da cui estrapolare delle stime e, sebbene alcune abbiano prosperato per millenni, gli esseri umani sono una specie giovanissima per il cosmo (e ciononostante, hanno già minacciato la loro stessa esistenza con guerre nucleari e cambiamenti climatici e non sanno ancora come deviare gli asteroidi assassini). “Sarebbero lecito dire che l’equazione sia inutile, ma non è vero, perché è un buon modo per mettere ordine nella nostra ignoranza”, sostiene Shostak. Questo dimostra che le domande sulla vita intelligente e i nostri sforzi per trovarla devono riunire anche altri campi, tra cui l’astrofisica, la geologia, la biologia e la sociologia.
I messaggi nello spazio
Gli sforzi di Drake per entrare in contatto con altri mondi non si sono fermati con la fine del Progetto Ozma. Con l’invenzione della radiodiffusione, l’umanità ha accidentalmente inviato segnali nello spazio, attraverso programmi televisivi e canzoni. Ma questi segnali si disperdono in diverse direzioni e potrebbero non essere rilevabili da lontano. Così, nel 1974, mentre era direttore dell’Osservatorio di Arecibo a Porto Rico, Drake utilizzò un radiotelescopio per trasmettere il primo messaggio interstellare deliberatamente inviato dalla Terra. Attraverso il codice binario di Arecibo (1.679 bit binari che rappresentano uno e zero), utilizzò impulsi di frequenza per inviare un messaggio in direzione dell’ammasso globulare M13, che includeva pittogrammi di una doppia elica di Dna, un diagramma del sistema solare e immagini di un essere umano e di Arecibo (sua figlia Nadia Drake, giornalista scientifica, si è poi occupata del 50esimo anniversario del telescopio per Wired US).
Drake ha anche partecipato a due tentativi di inviare messaggi tangibili nello spazio. All’inizio degli anni settanta, insieme a Sagan e altri ancora, progettò piccole placche metalliche da trasportare a bordo delle navicelle Pioneer 10 e 11 della Nasa, che raffiguravano una coppia di esseri umani e la posizione della Terra nella Via Lattea. Hanno anche collaborato al progetto Voyager Golden Records. Le due navicelle trasportano ciascuna un disco metallico contenente suoni, immagini e musica dalla Terra, oltre a un lettore e alle istruzioni per l’uso, nel caso in cui un giorno gli alieni li trovassero. Oggi, le navicelle continuano a percorrere miliardi di chilometri al di là del sistema solare, portando con sé i messaggi di Drake.
Il contributo all’astrobiologia e il Seti
Negli anni Sessanta e Settanta, Drake ha svolto un ruolo fondamentale nel far sì che l’astrobiologia, allora chiamata esobiologia, diventasse un campo di studio sistematico delle origini e dell’evoluzione della vita su mondi alieni: “Tutti stavano iniziando a riflettere sul ruolo dell’acqua allo stato liquido. Poteva esserci un altro solvente liquido – ammoniaca, cloro – a una pressione atmosferica diversa da quella terrestre?”, ricorda Bill Nye, amministratore delegato dell’associazione no-profit Planetary Society, cofondata da Sagan nel 1980. “Si potrebbe sostenere che tutte le speculazioni sull’astrobiologia siano una forma formale o informale dell’equazione di Drake”.
Nel 1984, Thomas Pierson fondò il programma Seti per cercare di ottenere finanziamenti e sostenere le ricerche dell’astronoma Jill Tarter, tra gli altri. In seguito Drake è diventato presidente dell’istituto, ruolo che ha ricoperto fino al 2010. Il Seti ha lanciato una serie di progetti innovativi, tra cui l’Allen Telescope Array – un sistema di quarantadue antenne dedicate esclusivamente alla ricerca di forme di vita aliene – e il progetto LaserSeti, che scandaglia il cielo notturno alla ricerca di lampi di luce che non provengano da fonti astrofisiche. I loro collaboratori del Berkeley Seti Research Center hanno condotto una delle ricerche più note sui segnali extraterrestri, il SETI@home, un progetto che fino al 2020 ha permesso a volontari di dedicare i momenti di inattività dei loro computer domestici all’analisi dei dati del Seti.
Nel 2006, Drake ha lavorato con il Carl Sagan Center, un gruppo di 75 scienziati che portano avanti la ricerca di vita extraterrestre e studiano l’astrobiologia, e ha fatto parte del consiglio di amministrazione del Seti Institute fino ai suoi settant’anni. Diamond e Shostak, che hanno lavorato spesso con Drake, lo descrivono come un uomo tranquillo, gentile, attento e molto intelligente: “Era un gentiluomo molto umile per essere una persona che ha avuto un tale impatto sulla scienza e sull’astrobiologia. Era semplicemente un essere umano adorabile”, ha commentato Diamond.
Negli ultimi anni, gli scienziati hanno iniziato a dare un senso all’equazione di Drake e a misurarne i parametri in modo più preciso. Per esempio, gli astronomi ora comprendono meglio la vita delle stelle. Grazie alle ricerche con il telescopio Kepler della Nasa sappiamo che i pianeti – compresi quelli nella “zona abitabile” – sono più numerosi di quanto pensassimo.
Influenza ed eredità
I ricercatori ora stanno esplorando l’equazione in nuovi modi: “L’equazione di Drake è emblematica per descrivere e illustrare la ricerca di segni di vita da parte di alieni civilizzati che dispongono di strumenti di comunicazione radio. Ho preso la sua equazione e l’ho rielaborata per la ricerca di segni di vita, non da parte di extraterrestri intelligenti, ma piuttosto da batteri che emettono gas che si accumulano nell’atmosfera di un pianeta”, rivela Sara Seager, astronoma del Mit che lavora a diversi progetti di ricerca sui pianeti. Seager ha lavorato in un team che ha studiato la possibilità che la fosfina su Venere potesse corrispondere a un segno di vita. Tra gli altri strumenti per la ricerca di forme di vita ci sono il rover Perseverance della Nasa, che ha il compito di cercare tracce di batteri su Marte, e le future missioni previste sulla luna di Giove Europa e sulla luna di Saturno Encelado. Gruppi diversi hanno anche cercato tracce tecnologiche di civiltà aliene, come la presenza di smog su pianeti lontani.
Alla ricerca di vita extraterrestre contribuiranno sicuramente anche i nuovi telescopi spaziali come il Tess, o Transiting Exoplanet Survey Satellite, lanciato nel 2018 alla ricerca di nuovi mondi, e il James Webb Space Telescope, che potrebbe essere usato per individuare il vapore acqueo nelle atmosfere dei pianeti e i potenziali segni di vita nei terreni sottostanti.
Ma la parte più importante dell’eredità di Drake, secondo Nye, è che ora le persone si pongono spesso domande grandi e profonde sul posto dell’umanità nell’universo: “Da dove veniamo? Siamo soli nel cosmo? Tutte queste domande nascono grazie a Frank Drake, un uomo che ha cambiato il mondo”.
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