Espansione dell’universo: cos’è lo spostamento …

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Espansione dell’universo: cos’è lo spostamento verso il rosso?

Espansione dell’universo: cos’è lo spostamento verso il rosso?

Addentriamoci nell’interessante mondo della cosmologia affrontando uno degli argomenti più interessanti e più discussi: il cosiddetto “redshift”.
Il concetto di “universo in espansione” potrebbe apparire in prima analisi un discorso assai distante dai meccanismi celesti e dalle ben più note ricerche cosmologiche condotte negli ultimi anni. Questo straordinario fenomeno fisico è tanto affascinante quanto misterioso, e ancora molti sono gli aspetti che risultano poco chiari o ancora da approfondire.
Tra i tanti aspetti che caratterizzano questa manifestazione fisica, ve n’è uno che tante volte è riassunto con un termine spesso associato all’intero fenomeno di “espansione dell’universo”, e questo termine è RedShift, che in italiano è reso come “spostamento verso il rosso”.
Spesso se ne abusa, altre volte è utilizzato fuori contesto, eppure, se si vuole trovare un riscontro concreto delle leggi della Relatività generale di Einstein, Bisogna passare da qui. Perché? È presto detto.
Un pò di precisione
Anzitutto, per essere corretti, si parla di “universo in espansione accelerata” ed è una particolarità del suo comportamento di espansione. In questo momento, l’universo si sta comportando come un palloncino mentre viene gonfiato, e per di più è come se la quantità di aria immessa all’interno del palloncino aumenti istante per istante.

Espansione dell’universo: cos’è lo spostamento verso il rosso?

L’espansione è dunque via via sempre maggiore, ed è per questo che gli si è attribuito l’aggettivo di “accelerata”. Ma da cosa deriva questa espansione? Da un’esplosione, verrebbe da rispondere. Il fatto che l’universo, in questa sua fase dell’esistenza, si comporti in questa maniera è stato per anni accettato senza che vi fosse alcuna spiegazione in merito.
La scoperta relativa a questo comportamento risale al 1930. Fu Edwin Hubble a scoprire che la luce proveniente dalle galassie molto distanti dalla nostra, era caratterizzata dal “Redshift”. E notò una seconda particolarità: tanto maggiore era la distanza che separava la nostra galassia da quella osservata, tanto più era maggiore il “Redshift” associato alla luce proveniente da quella galassia. Cos’è dunque il Redshift?
Cos’è il Redshift
In ambito cosmologico, per Redshift (letteralmente “spostamento verso il rosso”) si intende quel fenomeno fisico per cui la radiazione elettromagnetica proveniente da una sorgente, che viene emessa a una certa lunghezza d’onda, manifesta un cambio di lunghezza d’onda durante il suo propagarsi. Si parla di “Red” perché nel caso cosmologico si è apprezzato un aumento della lunghezza d’onda, e nella disciplina dell’ottica è ben noto come lunghezze d’onda “maggiori” corrispondano a tonalità rosse.
La figura successiva mostra proprio quest’ultimo concetto: Le lunghezze d’onda “maggiori” (da 600 nanometri a 760 nanometri) appaiono rosse, mentre quelle “minori” (da 500 a 390 nanometri) appaiono azzurro-viola. Andando a diminuire oltre i 390 nanometri, si entra nel campo degli ultravioletti, invisibili all’occhio umano, e stessa cosa accade per lunghezze maggiori di 760 nanometri, campo degli infrarossi. Una delle cause della variazione di lunghezza d’onda è legata al come la sorgente e “lo strumento ricevente” (i radiotelescopi, l’occhio, i timpani) sono in moto tra di loro, ad esempio avvicinandosi o allontanandosi.

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Questo particolare scenario descrive con molta accuratezza un fenomeno fisico denominato Doppler Effect, apprezzabile quotidianamente in prossimità di una sirena d’ambulanza. Un’ambulanza che si allontana emetterà un suono che sembra scendere di tonalità man mano che il veicolo aumenta la distanza dal nostro orecchio (lo “strumento ricevente”). E chiaramente la diminuzione di tonalità avverrà anche se a muoversi è la persona e non l’ambulanza (anche se in questo caso il fenomeno è decisamente meno apprezzabile, perché un essere umano non può allontanarsi così velocemente come può invece fare un veicolo, chiaramente).
La variazione di lunghezza d’onda può però anche avvenire quando è lo Spazio tra le due sorgenti a variare, e non le loro posizioni. Per comprendere questo concetto, pensate di posizionare due lampade ai due estremi di un tavolo estensibile.
Dopo aver acceso le lampade, e aver allungato il tavolo fino alla massima estensione possibile, la posizione delle due lampade è sempre la stessa (sono entrambe ancora ai rispettivi capotavola) tuttavia la distanza che le separa è cambiata, e nella fattispecie è aumentata. Questo stesso concetto è stato applicato anche all’ambito cosmologico, con il parallelismo Lampade=Galassie e tavolo estensibile = Spazio in espansione.
Subito dopo aver notato il Redshift, il fenomeno venne interpretato come appunto dovuto all’allontanarsi delle galassie dalla Terra. Il passo successivo fu realizzare che se la Terra non occupa nessuna posizione privilegiata (non è il centro di alcunché), allora una simile osservazione/esperienza si sarebbe potuta raccogliere anche in un qualsiasi altro punto della nostra galassia, o dell’universo in generale, il che suggerisce che tutte le galassie si stiano allontanando, ognuna dalle altre, e tanto più sono distanti tra loro, tanto più velocemente si allontanano.

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Molti esperimenti e osservazioni condotti nei decenni successivi confermarono questa versione, pur tuttavia omettendo l’effettiva spiegazione del perché l’universo fosse in espansione e a cosa questo potesse condurre.
Sulla base di un’enorme quantità di osservazioni sperimentali, si ritiene ora che sia dunque lo Spazio stesso a espandersi, e che si è espanso molto rapidamente nei primissimi istanti dopo il Big Bang.
La fase di espansione è dunque iniziata istanti successivi al Big Bang ed è tutt’ora in essere. Questo tipo di espansione è nota come espansione “metrica”. Nella terminologia della matematica e della fisica, una “metrica” è una misura della distanza che soddisfa un elenco specifico di proprietà (elenco che non comparirà in queste pagine, data la natura molto analitica dell’argomento).
Si era detto di Hubble.
Una formulazione relativistica del RedShift, detta “relativistic redshit formula”, può essere utilizzata per calcolare il redshift di un oggetto vicino quando lo spaziotempo è piatto. Tuttavia, in molti contesti, come quelli che interessano i buchi neri e la cosmologia del Big Bang, i redshift devono essere calcolati passando per la relatività generale, che tiene conto della curvatura dello Spazio-tempo.
Edwin Hubble scoprì una relazione approssimativa tra i redshift di alcune nebulose osservate e le rispettive distanze. La legge prese il nome di “Legge di Hubble”. Senza addentrarci nel discorso particolarmente tedioso delle equazioni di Lamaitre, la legge di Hubble rappresenta una relazione lineare sorprendente. La scoperta della relazione lineare tra redshift e distanza produce una semplice espressione matematica per la legge di Hubble, come segue: V=Ho*D, dove V è la velocità di nostro interesse (detta recessiva), tipicamente espressa in km/s, Ho è la costante di Hubble e D è la distanza (che può cambiare nel tempo) dalla galassia all’osservatore, misurata in mega parsecs (Mpc).
La validità di questa legge è soggetta ai limiti di una teoria lineare, in quanto la relazione reale tra velocità di allontanamento e Redshift assume andamenti diversi man mano che gli effetti della relatività generale diventano più importanti, fino ad un punto in cui la proporzionalità lineare si perde.
Per quanto riguarda gli oggetti “vicini” (all’interno della Via Lattea) gli spostamenti verso il rosso sono quasi sempre correlati alle velocità della linea di vista associate agli oggetti osservati. Le osservazioni di tali redshift e blueshift hanno permesso agli astronomi di misurare le velocità e parametrizzare le masse delle stelle orbitanti in sistemi binari, secondo una metodologia utilizzata per la prima volta nel 1868 dall’astronomo britannico William Huggins.

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Allo stesso modo, piccoli spostamenti verso il rosso e blueshift rilevati nelle misure spettroscopiche delle singole stelle sono un modo in cui gli astronomi sono stati in grado di prevedere e misurare la presenza e le caratteristiche dei sistemi planetari attorno ad altre stelle, sono state impiegate persino durante i transiti planetari, per determinare precisi parametri orbitali dei pianeti protagonisti del transito.
Non è l’unico campo di applicazione. Le misurazioni dettagliate degli spostamenti verso il rosso sono utilizzate nell’eliosismologia per determinare i movimenti (con estrema precisione) della fotosfera del Sole. I redshift sono anche stati usati durante le prime misurazioni dei tassi di rotazione dei pianeti e delle galassie, soprattutto risultano fondamentali per spiegare la dinamica dell’accrescimento sulle stelle di neutroni e buchi neri.
Si tratta di un campo molto affascinante e ricco di curiosità, a cominciare dalla costante di Hubble e del perché sia effettivamente una costante universale, anche se uno degli aspetti più interessanti dell’intera faccenda è la branca della cosmologia, che cerca di dare una spiegazione al movimento di espansione dell’universo anziché di contrazione. Esistono teorie che cercano di spiegare l’intero fenomeno, alcune avanzate da personalità di punta del settore che rappresentano delle finezze del pensiero teorico applicato al campo cosmologico, come le idee di Roger Penrose, o altre che prendono in considerazione movimenti di tipo periodico e che includono persino accenni alla radiazione di Hawking.
Nello spazio di un articolo è giusto trattare un argomento per volta, ma se siete interessati alle teorie che spiegano il “perché” di questa espansione, oppure delle meccaniche che potrebbero manifestarsi in caso di comportamento contrario (“di contrazione”) oppure ancora a un altro aspetto che vi piacerebbe approfondire, non vi resta altro che farcelo sapere nello spazio dedicato ai commenti.
Di: di Giovanni Ferrandes
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