Se il DNA diventa un computer

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Se il DNA diventa un computer

Genetic engineering, conceptual illustration

Filamenti di DNA sintetico in grado di autoassemblarsi e produrre l’equivalente molecolare di un computer, eseguendo alcuni algoritmi i cui risultati possono essere letti con il microscopio elettronico. Li ha realizzati un gruppo internazionale di ricerca, dimostrando che il calcolo automatico è prossimo a entrare nel dominio molecolare
Filamenti di DNA che sono in grado di funzionare come i componenti essenziali di un computer, eseguendo semplici algoritmi di calcolo.
Li ha realizzati un gruppo di informatici dell’università della California a Davis, della Maynooth University a Kildare, in Irlanda, e del California Institute of Technology che li descrivono su “Nature”, dimostrando che le tecniche di manipolazione nanotecnologica sono mature per trasferire nel dominio molecolare le regole fondamentali dell’informatica, finora sviluppate e applicate nel dominio dell’elettronica.
Secondo queste regole, il calcolo automatico si basa sulla codifica delle unità d’informazione binaria, o bit, che possono assumere solo i valori 0 e 1, con lo stato aperto o chiuso di un interruttore elettrico. Combinando in modo opportuni diversi interruttori, è possibile realizzare le cosiddette porte logiche, che forniscono un risultato di output, in termini di 0 e 1, in risposta a una coppia di valori di input, sempre in forma di 0 e 1. La combinazione di più porte logiche fornisce un circuito digitale in grado di “far girare” un algoritmo, una volta che il circuito viene percorso da una corrente elettrica.
Gli studi di biologia molecolare mostrano che anche i sistemi chimici possono immagazzinare ed elaborare l’informazione necessaria a dirigere la sintesi di strutture complesse a partire da molecole di base.
Nel campo delle nanotecnologie, una molecola particolarmente interessante per eseguire algoritmi è il DNA, la cui struttura fondamentale è una catena lineare di unità di base chiamate nucleotidi.
Ogni nucleotide è formato da un gruppo fosfato, dallo zucchero desossiribosio e da una base azotata che può essere solo di quattro tipi: adenina, citosina, guanina e timina (indicate
anche con le iniziali A, C, G, T). Nella sua forma completa, il DNA è descritto come una “doppia elica”: due filamenti singoli si accoppiano a formare una sorta di scala a chiocciola, in cui i gradini sono formati dall’unione dell’adenina con la timina e della citosina con la guanina (chimicamente non sono permessi altri legami).
Nello studio, gli autori hanno utilizzato in particolare la tecnica delle piastrelle a DNA (DNA tile). Ogni piastrella è costituita da un singolo filamento di DNA sintetico, lungo 42 basi e suddiviso al suo interno in quattro domini di 10-11 basi. Ogni dominio rappresenta i valori 0 oppure 1, e ogni piastrella contiene due domini di input e due domini di output. Le piastrelle, inoltre, si legano tra loro spontaneamente e in modo specifico, secondo le regole di accoppiamento delle basi di DNA: A-T, C-G, fino a formare strutture più grandi.
Proprio questo autoassemblaggio è ciò che consente di svolgere il calcolo: in assenza dell’elettricità che scorre nei circuiti elettrici dei computer, in questo caso sono i filamenti di DNA che si aggiungono via via, facendo procedere l’algoritmo.
A seconda delle piastrelle scelte dai ricercatori per iniziare il programma, che costituiscono l’input, si avrà un determinato risultato di output alla fine dell’assemblaggio, risultato che può essere letto mediante un microscopio a forza atomica in grado di rilevare specifici marcatori legati al DNA.
A conferma delle grandi potenzialità del sistema, i ricercatori sono riusciti a dimostrare nel corso degli esperimenti la corretta esecuzione di 21 algoritmi con scopi diversi.
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