2018, record del riscaldamento degli oceani
Gli oceani – che assorbono circa il 90 per cento del calore dovuto al riscaldamento globale – continuano a scaldarsi: fra il 2017 e il 2018 hanno assorbito l’equivalente del calore prodotto da 100 milioni di bombe di Hiroshima e la situazione tende a peggiorare. Se non verrà bloccata l’emissione di gas serra, entro la fine del secolo il livello del mare aumenterà di 30 centmetri per la sola espansione termica.
Per gli oceani il 2018 è stato l’anno più caldo mai registrato, nel quale si è avuto un accumulo record di calore. Rispetto al 2017, l’aumento di calore (o anomalia termica) è stato circa 100 milioni di volte superiore a quello prodotto dalla bomba di Hiroshima e, espresso in joule, circa 388 volte superiore alla produzione totale di elettricità della Cina nel 2017.
Ma quel che è peggio è che la tendenza continuerà anche in futuro raggiungendo livelli dalle conseguenze estremamente allarmanti se non sarà posto un freno all’accumulo dei gas serra in atmosfera.
A stabilirlo è uno studio condotto da un gruppo internazionale di ricercatori diretti da Lijing Cheng dell’Accademia cinese delle scienze e Kevin E. Trenberth del National Center for Atmospheric Research a Boulder, in Colorado, che firmano un articolo su “Advances in Atmospheric Sciences”.
Subito dopo il 2018, gli anni con il massimo accumulo di calore oceanico sono stati, nell’ordine, 2017, 2015, 2016 e 2014, con una significativa progressione lineare, L’unica eccezione – quella del 2015 che ha superato il 2016, nonostante in quest’ultimo la temperatura superficiale media globale fosse superiore – è imputabile a un forte evento di El Niño e al rimescolamento delle acque profonde e superficiali che lo caratterizza.
I dati sono stati raccolti con il sistema di monitoraggio oceanico Argo (in funzione da 13 anni), formato da una flotta di circa 4000 robot galleggianti alla deriva negli oceani di tutto il mondo, che ogni pochi giorni si immergono fino a una profondità di 2000 metri per poi misurare lungo tutto il percorso di risalita la temperatura, il pH, la salinità e altri parametri delle acque.
La misurazione del calore oceanico è particolarmente
importante per valutare il riscaldamento globale perché oltre il 90 per cento del calore del riscaldamento globale si deposita negli oceani ed è meno influenzato dalle fluttuazioni naturali, tanto da rappresentare uno dei più robusti indicatori dei cambiamenti climatici.
L’aumento delle temperature oceaniche ha molte conseguenze, a partire dall’aumento del livello del mare per espansione termica, che a sua volta può contaminare con acqua salata le falde d’acqua dolce costiere, e compromettere infrastrutture portuali e strade litoranee.
Inoltre, la maggiore disponibilità di calore si traduce in tempeste più intense e fenomeni meteorologici estremi, come piogge torrenziali in alcune aree e ondate di calore e siccità in altre.
In un secondo articolo pubblicato su “Science”, Cheng, Trenberth e colleghi usano i dati raccolti e quelli di precedenti ricerche – che hanno permesso di ricostruire, sia pure con minore precisione, le temperature dei mari a partire dal 1960 – per valutare l’andamento e la velocità di cambiamento del calore oceanico.
In uno scenario business-as-usual, in cui non viene fatto alcuno sforzo reale per ridurre le emissioni di gas serra, fra il 2081 e il 2100 i 2000 metri più superficiali degli oceani subiranno un riscaldamento di 0,78 °C, con un innalzamento del mare per espansione termica di 30 centimetri, sei volte maggiore di quello che si è avuto negli ultimi 60 anni. Se invece l’obiettivo dell’accordo di Parigi fosse raggiunto, il riscaldamento totale degli oceani potrebbe essere dimezzato.
Fonte: