Quel vento che mozza il respiro dei quasar

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Quel vento che mozza il respiro dei quasar

MOSTRI COSMICI FIACCATI DALLA LORO STESSA ATTIVITA’
Uno studio effettuato su un campione di trenta quasar blu osservati con il telescopio spaziale europeo Xmm-Newton ha messo in luce un risultato inatteso: alcuni di questi oggetti sono particolarmente deboli nella banda X. Ne parliamo con Emanuele Nardini dell’Inaf di Arcetri, primo autore dell’articolo appena pubblicato su Astronomy & Astrophysics

RAPPPRESENTAZIONE GRAFICA DI UN QUASAR).
(Quel vento che mozza il respiro dei quasar)

I trenta quasar presi in esame per questo studio sono “quasar blu”, selezionati con una meticolosa analisi e osservati con il telescopio spaziale Esa Xmm-Newton per raggi X. Si trovano a redshift compreso fra 3.0 e 3.3: questo implica che la loro luce – quella che vediamo oggi – risale a circa 11.5 miliardi di anni fa, vale a dire due miliardi di anni dopo il Big Bang. La loro luminosità si aggira intorno all’ordine di centinaia di migliaia di miliardi di soli, tutti concentrati in uno spazio non molto più grande del Sistema solare, e la spinta verso l’esterno esercitata sulla materia dalla radiazione può facilmente superare l’attrazione gravitazionale, dando origine a veri e propri venti di gas ad alta velocità.
Il primo autore dello studio, Emanuele Nardini, fiorentino con la passione della fotografia e della cucina, fellow del programma AstroFit2, si occupa dei processi fisici di alta energia associati alla crescita dei buchi neri supermassicci nel centro delle galassie. Lo abbiamo intervistato.
Perché avete scelto di studiare proprio questi trenta oggetti?
«Il campione è stato selezionato per la sua utilità in chiave cosmologica. I criteri di selezione sono piuttosto stringenti, tra cui essere oggetti blu (cioè non oscurati da polvere), radio quieti (senza getti) e senza assorbimenti nell’ultravioletto. Questo perché per poter usare i quasar come candele standard occorre misurare con precisione il loro flusso intrinseco nell’ultravioletto e nei raggi X, regolato in modo molto preciso dalla fisica dell’accrescimento. Il redshift è stabilito dalla necessità di avere spettri in banda X di buona qualità con osservazioni di durata ragionevole (circa 10 ore per sorgente), e di coprire un intervallo inaccessibile agli strumenti cosmologici tradizionali – per esempio, le supernove».
Qual è stato il suo ruolo nell’ambito di questo studio?

Misura delle differenze tra il flusso X osservato e quello atteso nei quasar a z~3 e in un campione di controllo. Si noti un eccesso di oggetti a sinistra della riga tratteggiata verticale, che corrisponde a un’emissione in banda X più debole di un fattore 4 o superiore rispetto alle previsioni e verosimilmente dovuta a una minore efficienza della corona. Crediti: Nardini et al. 2019.

«Io mi sono occupato dell’analisi dettagliata delle osservazioni in banda X e ho proposto l’interpretazione dei risultati. Questa campagna ha portato infatti a una scoperta abbastanza sorprendente e del tutto inattesa vista la natura di questi oggetti e la loro omogeneità. Almeno un quarto dei nostri quasar sono molto più deboli nei raggi X di quanto previsto, e grazie alla qualità degli spettri possiamo ragionevolmente escludere che sia tratti di un effetto di oscuramento, diversamente da quanto comunemente accettato».
E allora da cosa potrebbe dipendere?
«Pensiamo che sia una conseguenza della presenza di un vento di gas estremamente caldo. I venti sono attesi a queste luminosità, e sono un elemento chiave dei modelli di feedback ed evoluzione galattica. Trasportando via dal disco di accrescimento molta materia, il vento finisce per far mancare alla corona (responsabile dell’emissione X) il sostentamento. Un po’ come quando tira vento forte e si fa fatica a respirare. Questa interpretazione è molto intrigante per le sue potenziali implicazioni e trova anche altre conferme, ma richiede ulteriori verifiche che stiamo tuttora portando avanti».
Di: Rossella Spiga
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