Pericoli naturali, oltre 43mila residenti a rischio

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Pericoli naturali, oltre 43mila residenti a rischio

Un quinto delle zone edificabili ticinesi sono soggette ai fenomeni naturali. La geologa cantonale: ‘Vista la morfologia del territorio il dato è contenuto’
Oltre 43mila persone vivono esposte a pericoli naturali in Ticino. La maggior parte è a rischio acqua: alluvione, piena, esondazione lago. Una parte più contenuta invece è minacciata da valanghe e movimenti di versante. Globalmente, un quinto delle zone edificabili ticinesi è soggetto a pericolo naturale. Lo si evince dallo studio ‘Pericoli naturali in Ticino: storia, cifre e strumenti di prevenzione’ pubblicato dalla rivista ‘Extra Dati’ dell’Ufficio di statistica (Ustat), in cui gli autori (Marco Galfetti e Lisa Bottinelli per l’Ustat; Andrea Salvetti, Lorenza Re e Sergio Coratelli per il Dipartimento del territorio) mappano il cantone secondo il grado di pericolo a cui ciascuna zona risulta esposta. Confortante constatare che solo l’8% delle zone edificabili è esposto a un pericolo naturale di “grado medio” o “basso”, e l’8,5% è soggetto a “grado residuo” (in caso di eventi estremi). Come valutare questi dati? «Io parto dal presupposto che viviamo in un cantone di montagna: la maggior parte degli insediamenti è sorta nei fondovalle dove si concentrano le forze della natura, siano esse fiumi, frane o valanghe – commenta Lorenza Re, geologa cantonale –. In una regione come il Ticino sperare di avere un territorio al cento per cento esente da pericoli naturali è utopistico. Che il 20% delle zone edificabili sia interessato da fenomeni di questo tipo può dunque essere visto come un dato tutto sommato contenuto, soprattutto perché per la maggior parte si tratta di un pericolo di grado basso o residuo. Un pericolo quindi accettabile, considerata la morfologia del territorio». Percentuali a cui si è giunti intervenendo in modo importante con opere di arginatura, premunizione, controllo. «Il nostro cantone, che ha vissuto anche eventi gravi, si è sempre mosso a favore della prevenzione e ancora oggi, fortunatamente, quando vengono promosse opere di protezione non si riscontrano mai ostacoli economici». L’investimento complessivo ammonta a circa 30 milioni l’anno fra contributi pubblici e privati, a cui si sommano 16 milioni per la cura del bosco di protezione. «Cifre ragguardevoli – osserva Re –, considerato che la superficie edificabile rappresenta solo il 4% del territorio».
Pericolosità accettabile a fatica
In certi casi si interviene anche laddove, con un’attenta analisi, il livello di pericolosità sarebbe accettabile… «Negli ultimi anni per ottimizzare le risorse finanziarie si è iniziato a ragionare in termini di rischio, non solo di pericolo: arrivare cioè a un livello di sicurezza adeguato, non eccelso, può essere ritenuto comunque sufficiente. Diciamo però che la ‘cultura del rischio’ è difficile da far accettare dalla società di oggi e sarà questa una delle sfide del futuro». Certo che per quelle 43mila persone non dev’essere semplice convivere con il rischio, seppur nella maggior parte dei casi si tratti di un rischio residuo… «È tutto relativo. Se i pericoli naturali si manifestassero in modo severo ogni anno ce ne faremmo una ragione e sarebbero parte del nostro modo di vivere – replica Re –. Per fortuna gli eventi naturali non sempre fanno grossi danni o vittime: l’effetto sul territorio è estremamente limitato. Quando poi capita l’evento straordinario allora si invoca la sicurezza assoluta, nonostante siamo uno dei Cantoni che spende di più in proporzione ai propri rischi rispetto ad altri». Quasi una filosofia di vivere, quella di saper… convivere con l’imprevedibile. Del resto, il riscaldamento climatico non farà che accentuare gli eventi estremi, sostengono i climatologi. Cosa ne pensano i geologi? «L’estremizzazione dei fenomeni alluvionali è già in atto ma il nostro territorio sta reggendo bene – risponde Re –. Grazie a tutti gli investimenti svolti in passato abbiamo un territorio ben protetto. Non siamo preparati agli eventi concatenati, come potrebbe essere l’onda di piena che si genera dopo che un’alluvione crea in poche ore uno sbarramento in un fiume. Ci dovremo adeguare man mano, grazie anche alle carte del pericolo che sono uno strumento che viene costantemente aggiornato. Constato comunque che col passare degli anni, a fronte dell’aumento della popolazione e della superficie edificata, il numero delle vittime cala. Un ‘trend’ confortante». E talvolta, come nel caso del dramma di Davesco (era il novembre del 2014 quando il muro di sostegno di una ripiena cedette e fece crollare una palazzina, causando due morti), è l’uomo a pretendere troppo. Il ‘pressing edilizio’ non rischia di ritorcercisi contro? «Penso dovrebbe esserci un concorso virtuoso da parte di tutti gli attori coinvolti in una costruzione – conclude Re –. Dal proprietario all’architetto, ciascuno con il proprio senso di responsabilità».
di: Chiara Scapozza
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