In Antartide minaccia di crollare il ‘ghiacciaio …

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In Antartide minaccia di crollare il ‘ghiacciaio del Giudizio universale’: il livello del mare salirebbe di 44 cm. Ma forse c’è un rimedio: neve artificiale

La parte occidentale dell’Antartide sta subendo modifiche profonde a causa del riscaldamento globale e minaccia di disintegrarsi. Uno studio della Nasa ha trovato una instabilità nel ghiacciaio Thwaites che dimostra come tra poco il fenomeno diventerà irreversibile.
Anche se dovessimo riuscire a limitare le emissioni in base agli accordi di Parigi, ovvero sotto l’1,5 di aumento della temperatura media, probabilmente si scioglierà lo stesso.
L’enorme massa di ghiaccio però da sola contribuisce al 4 per cento dell’innalzamento del livello dei mari, il cui livello a livello mondiale potrebbe, se diventasse acqua, alzarsi di 44 centimetri all’anno: non per niente il Thwaites è anche detto ‘il ghiacciaio del giudizio universale’ o dell’Apocalisse.
La perdita di ghiaccio nel continente, negli ultimi sei anni, è raddoppiata e sta diventando molto più veloce che nel 1990, con una riduzione di oltre 100 metri di spessore in alcuni punti. Thwaites si sta liquefacendo a una velocità 10 volte superiore al resto. E non è l’unico punto a rischio. Grandi sezioni del Brunt Ice Shelf, dove si trova la Stazione antartica inglese, si stanno spezzando. Un iceberg di oltre 1.500 chilometri quadrati, grande due volte New York, sta per salpare verso il mare. Il Ross Ice Shelf, che ha un ruolo nella stabilizzazione di un’ampia area antartica, sta seguendo la stesa fine.
Secondo gli autori dello studio, pubblicato su Science Advances, un giornale scientifico ad accesso libero, se si dovesse continuare in questo modo, i mari si innalzeranno di 3 metri, creando seri problemi a molte aree densamente popolate, incluse metropoli come Calcutta, Shanghai, New York e Tokyo.
Ma i ricercatori presentano anche una possibile soluzione: quello che sta accadendo nella calotta occidentale infatti potrebbe essere fermato pompando acqua lungo le coste e convertendola poi in neve. Non si tratterebbe di una soluzione facile: ne andrebbero depositate oltre 7.400 giga tonnellate, vale a dire 7.400 miliardi, nell’arco di un periodo di 10 anni.
D’altra parte tra il 1990 e il 2010, la perdita solo per il Thwaites è passata da 30 gigatonnellate a oltre 50. Potrebbero diventare 361. Il riscaldamento globale in realtà potrebbe anche portare al verificarsi di più nevicate, ma non sarebbero sufficienti a frenare il processo in corso.
La neve artificiale ricorda altri progetti di ingegneria climatica proposti per mettere a freno ciò che il nostro sistema attuale ha generato: installare enormi specchi nello spazio per riflettere la luce del sole e raffreddare la Terra. Utilizzare barche che solcano gli oceani per spargere solfati di ferro per nutrire le alghe e ridurre grazie alla loro crescita l’anidride carbonica nell’atmosfera. O ancora immettere nella stratosfera aerosol a base di solfuri per mimare quanto accade durante le erezioni vulcaniche. Le polveri liberate dal Pinatubo nel 1991 fecero abbassare la temperatura terrestre di circa mezzo grado per due anni.
In realtà, avvertono gli studiosi che hanno proposto la neve artificiale in Antartide, si tratta di soluzioni che possono avere delle conseguenze. Prima tra tutte il fatto che in natura i processi non sono mai lineari, e quello che viene fatto dall’uomo non è detto che si traduca in un successo perché l’effetto non è prevedibile al 100 per cento. Se per esempio si creassero dei laghi supraglaciali, lo scioglimento verrebbe in ogni caso accelerato, come sta accadendo in Groenlandia.

Sebbene la regione del Mare di Amundsen rappresenti solo una frazione dell’intera calotta polare antartica occidentale, la regione contiene abbastanza ghiaccio per innalzare il livello globale del mare di 1,2 metri. NASA / GSFC / SVS

Creare neve artificiale per mimare le precipitazioni naturali, sostengono gli stessi autori, richiederebbe elevatissime quantità di energia e molte infrastrutture. L’acqua infatti andrebbe desalinizzata, una procedura che costa in termini energetici e richiede appropriate tecnologie. Inoltre il processo di pompaggio, che dovrebbe far salire l’acqua a oltre 640 metri di altezza, oltre a consumare 145 giga watt, potrebbe perturbare la circolazione locale, favorendo così una ulteriore intrusione di acque calde nelle cavità dei ghiacciai. Il flusso generato potrebbe essere il 10 per cento di quello dell’oceano. L’area interessata sarebbe grande 52 mila chilometri quadrati, ovvero come il Costa Rica, o metà dell’Islanda. L’energia necessaria potrebbe essere fornita da più di 12mila turbine eoliche che sfruttano i potenti venti locali. Viceversa, se ci si basasse come ora su fonti fossili, non non si risolverebbe il problema, ma lo si aggraverebbe. Ma nessuno sa in che modo tutti questi interventi, che producono alterazioni, emissioni e forti rumori, potrebbero influire sugli ecosistemi marini e costieri e potrebbero avere, scrivono gli studiosi che hanno realizzato il modello, un effetto devastante.
Il problema del cambiamento climatico è alle porte, ma le soluzioni emergenziali rischiano di agire solo come una panacea temporanea.
Come fanno notare i ricercatori, il clima è un sistema complesso, non lineare, e non è detto che torni allo stato iniziale se si interviene con nuovi cambiamenti, invece che compensare quelli già avvenuti.
Se il sistema varca una soglia critica, come pare stia accadendo al ghiacciaio Thwaites, raggiungendo un equilibrio diverso, i tentativi di ripristinarlo potrebbero comunque fallire. E’ interessante sapere che la neve artificiale potrebbe aiutare, ma se non vengono ridotte le emissioni di gas serra sarà tutto inutile.
di: Mariella Bussolati
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