Universo a tre dimensioni e vita bidimensionale

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Universo a tre dimensioni e vita bidimensionale

Le reti neurali 2D potrebbero supportare il comportamento complesso degli esseri viventi
In uno studio recente, condotto da un team internazionale di fisici, si spiega perché il nostro universo è a tre dimensioni.
Poco dopo la sua nascita, avvenuta circa 13,8 miliardi di anni fa lo spazio tempo era colmo di nodi composti da “fili di energia flessibili”. Questi strani fili di energia vengono chiamati dagli scienziati tubi di flusso, e andavano a collegare le prime particelle elementari. Questi tubi di flusso, composti per la maggior parte da quark, erano tenuti insieme da un’altra particella elementare chiamata gluone.
Queste particelle collegate attraverso i gluoni venivano “tirate” sempre di più fino a raggiungere il punto di rottura. Alla momento della rottura, veniva rilasciato un certo quantitativo di energia che permetteva la formazione di una nuova coppia quark-antiquark che si divideva e si legava con le particelle originali, producendo, quindi, due coppie di particelle legate.

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Lo studio, pubblicato sotto il titolo di L’inflazione innocua e la dimensionalità del tempo spaziale su European Physical Journal C, è stato elaborato da un team di cinque fisici: Arjun Berera, Roman Buniy, Heinrich Päs, João Rosa e Thomas Kephart.
Secondo la teoria più accettata, l’universo si è formato da un plasma surriscaldato e carico elettricamente denominato plasma di quark e gluoni (Quark-Gluon Plasma, QGP). Il nuovo studio utilizza una versione energetica più alta di questo plasma QGP che creerebbe spontaneamente un grande numero di tubi di flusso composti da quark e spiegherebbe inoltre il perché il nostro universo abbia tre dimensioni oltre a spiegare la fonte di energia che ha dato vita alla fase inflazionistica dell’universo stesso.
Secondo quanto teorizzato dai fisici, nelle prime fasi della sua vita, l’universo era pervaso da una rete intricata di tubi di flusso. La rete aveva un contenuto di energia che, secondo il team, era sufficiente ad alimentare la fase di espansione accelerata o inflazione cosmica.
Secondo uno scienziato del team, Thomas Kephart “Mentre l’universo cominciava ad espandersi, la rete dei tubi di flusso iniziò a decadere e alla fine si è rotta, eliminando la fonte di energia che stava alimentando l’inflazione”. L’inflazione ci ha portato all’universo che oggi osserviamo, un universo quadrimensionale con tre dimensioni spaziali e una temporale dove, almeno in un piccolo angolo di esso, si è formata la vita complessa, forse grazie a questa sua peculiarità e non di rado sentiamo dire che la vita può esistere solo in un universo che abbia almeno tre dimensioni spaziali: anche una sola dimensione in meno non consentirebbe all’universo di sviluppare la complessità che osserviamo. Un universo con sole due dimensioni non consentirebbe alla gravità di funzionare, e senza questa forza non avremo galassie, stelle e pianeti, l’universo sarebbe ridotto a un gas informe in espansione.
Un nuovo studio, però, pubblicato su arXiv e ripreso dal MIT Technology Review, vorrebbe dimostrare che le dimensioni possono essere anche meno di tre.
James Scargill, fisico dell’Università della California, ha pubblicato uno studio che mostra che un universo con due dimensioni spaziali e una temporale potrebbe avere la gravità e quindi essere complesso e in grado di originare la vita. Lo studio mina alla base il principio antropico, cioè che l’idea che le proprietà del nostro universo devono essere cosi come le osserviamo perché noi siamo qui ad osservarle.
Se le leggi fisiche del nostro universo avessero altri valori, anche di poco diversi, non ci sarebbero osservatori per misurare queste stesse leggi fisiche e ciò spiega perché le leggi che governano il nostro universo hanno i valori che misuriamo.
Secondo Scargill, un campo gravitazionale sarebbe possibile anche avendo solo due dimensioni. Se ciò fosse vero, sarebbero possibili galassie, stelle, pianeti con orbite stabili e da poter ospitare la vita.
Lo scienziato ha affrontato la questione analizzando le reti neurali biologiche. Queste ultime mostrano alcune proprietà che, secondo Scargill, possono essere riprodotte in un mondo bidimensionale e in generale che possono mostrare comportamenti sorprendentemente complessi.
Tuttavia lo stesso scienziato ritiene che sarà necessario effettuare ricerche più approfondite sulle reti neurali per capire se reti neurali 2D possono davvero supportare il comportamento complesso degli esseri viventi, cosa che questo studio vuole non escludere.
Fonte: notiziescientifiche.it
Di: Oliver Melis
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