Il disaccordo sulla costante di Hubble …

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Il disaccordo sulla costante di Hubble che mette in crisi la cosmologia

La discrepanza tra due diverse stime del valore della costante che esprime il tasso di espansione dell’universo – una difformità rafforzata di recente da nuove e più precise osservazioni – potrebbe costringere i ricercatori a rimettere in discussione il modello standard della cosmologia.
Un’annosa disputa sulla velocità con cui il nostro universo si sta espandendo è diventata ancora più radicale. Nuove e più precise misurazioni di stelle nella Grande Nube di Magellano, una galassia satellite della Via Lattea, hanno infatti rafforzato le differenze tra due metodi indipendenti di calcolo del tasso di espansione.

La variabile Cefeide RS Puppis, ripresa dal telescopio spaziale Hubble (Credit NASAESAHubble Heritage Team. Elaborazione di Stephen Byrne)

Questa impasse potrebbe presto costringere i cosmologi a riesaminare il “modello standard” della cosmologia, che ci parla della composizione dell’universo (radiazioni, materia ordinaria, materia oscura ed energia oscura) e di come si è evoluta nel tempo.
Da ormai quasi cinque anni, due diversi progetti di ricerca sono in disaccordo sul valore della costante di Hubble (H0), la velocità con cui l’universo si sta espandendo. Uno si basa sugli studi del fondo cosmico a microonde (cosmic microwave background, CMB), i resti del bagliore residuo del plasma caldo e denso che ha soffuso l’universo poco dopo il big bang. L’altro progetto utilizza invece un miscuglio di misure più “locali”, che costituiscono la cosiddetta scala delle distanze cosmiche.
Risalire la scala delle distanze
Uno dei primi pioli di quella scala è composto dalle misure astronomiche di stelle variabili chiamate Cefeidi, effettuate nella Via Lattea o nelle vicine Nubi di Magellano. Queste stelle mostrano una correlazione tra le loro pulsazioni periodiche e le loro luminosità, rendendole eccellenti “candele standard” per misurare le distanze intergalattiche. I gradini successivi della scala si basano su altre candele standard più luminose. Insieme, questi diversi set di dati comprendono la scala della distanza cosmica e possono accumularvisi piccoli errori per distorcere le misurazioni.
Un paio di settimane fa, Grzegorz Pietrzyski, del Centro astronomico Nicolaus
Copernicus dell’Accademia polacca delle scienze a Varsavia, e colleghi, hanno pubblicato su “Nature” la stima più precisa mai realizzata della distanza della Grande Nube di Magellano (GNM). Per calcolarla hanno usato sistemi a 20 stelle chiamati binarie a eclisse distaccate e hanno scoperto che è di 49,59 kiloparsec (un kiloparsec equivale a 3.261,56 anni luce: la Grande Nube di Magellano è dunque a poco meno di 162.000 anni luce di distanza da noi).

La Grande Nube di Magellano (Wikimedia Commons)

Il premio Nobel Adam Riess, della Johns Hopkins University, leader del progetto SH0ES (Supernovae, H0, for the Equation of State of Dark Energy), stava aspettando quei risultati. “Nell’attesa, abbiamo osservato direttamente le Cefeidi nella Grande Nube di Magellano con il telescopio spaziale Hubble”, racconta. Per queste misurazioni, i ricercatori hanno usato una nuova tecnica di controllo giroscopico per guidare e puntare il telescopio molto più efficacemente di prima. L’approccio, combinato con le accurate stime di Pietrzyski sulla distanza della Grande Nube di Magellano, ha aiutato il gruppo SH0ES a perfezionare la calibrazione della relazione periodicità-luminosità delle Cefeidi.
Riess e la sua squadra sono poi saliti al gradino successivo della scala cosmica. In precedenza avevano usato il telescopio Hubble per studiare le galassie vicine che ospitano sia stelle Cefeidi sia alcuni tipi di supernove. I ricercatori hanno utilizzato i nuovi dati sulle Cefeidi per ottenere migliori calibrazioni delle supernove e stimare le distanze delle galassie più lontane che ospitano solo le supernove. Il gruppo ha usato anche altre osservazioni dell’universo locale, concentrandosi sulle emissioni che funzionano da faro e che provengono dai dintorni di un buco nero supermassiccio nella galassia NGC 4258, oltre a misurazioni di precisione aggiuntive di Cefeidi nella Via Lattea, per affinare ulteriormente le stime di distanza di Cefeidi e supernove su ampi intervalli intergalattici e stimare così H0.
Dopo aver combinato tra loro queste misurazioni, il valore di SH0ES per H0 risulta essere 74,03 ± 1,42 chilometri al secondo per megaparsec.
“È certamente sbalorditivo che ci siano molti modi per ottenere un risultati molto simili: questo indica che un singolo errore sta diventando improbabile”, dice Antony Lewis, cosmologo dell’Università del Sussex in Inghilterra, che non fa parte del gruppo di SH0ES.
Un disaccordo di fondo
Questo ultimo risultato di SH0ES è il primo in cui lo stesso telescopio, in questo caso Hubble, viene usato per studiare sia le variabili Cefeidi nella Grande Nube di Magellano sia le Cefeidi nelle galassie che ospitano le supernove.
In precedenza, erano stati usati telescopi diversi per studiare le Cefeidi nella Grande Nube di Magellano e nelle galassie che ospitano le supernove, e le differenze sistematiche tra i telescopi portavano a maggiori incertezze nelle stime delle distanze. “Ora abbiamo fatto un passo avanti e l’incertezza complessiva nella costante di Hubble è arrivata all’1,9 percento”, afferma Riess, con un calo rispetto all’incertezza precedente, che era del 2,4 percento.
La misurazione di H0 rimane quindi in disaccordo con un’altra stima, ma ora con una rilevanza che è 4,4 volte più grande delle incertezze. La stima indipendente da cui differisce deriva dalle osservazione del satellite Planck dell’Agenzia spaziale europea, che ha studiato il fondo cosmico a microonde tra il 2009 e il 2013. Emesso circa 380.000 anni dopo il big bang, durante la cosiddetta era della ricombinazione, il fondo cosmico a microonde è usato regolarmente dai cosmologi per calcolare dimensioni, età, composizione, evoluzione e altri parametri dell’universo.
Per misurare H0, il satellite Planck ha eseguito misurazioni di precisione di piccole variazioni della temperatura dei fotoni del fondo cosmico a microonde in tutto il cielo, definendo le dimensioni angolari dei cosiddetti hot spot che, attraverso una catena di ipotesi non meno complicate di quelle per la scala di distanza cosmica, sono correlate al tasso di espansione dell’universo primordiale. I membri del team di Planck hanno quindi utilizzato queste misurazioni per calcolare H0, ottenendo una stima di circa 67,4 chilometri al secondo per megaparsec.
Verso una nuova cosmologia?
Hsin-Yu Chen, dell’Università di Harvard e membro della collaborazione LIGO (Gravitational-Wave Observatory Laser Interferometer), è colpito dai nuovi risultati di SH0ES. “È uno studio più scrupoloso, ed è bello vedere che la discrepanza ha una base più solida”, dice. Ma “è davvero sconcertante, come prima”.
Chen e colleghi hanno lavorato al calcolo di H0 utilizzando dati da fusioni di stelle di neutroni binarie che possono essere osservate simultaneamente da LIGO e da altri telescopi. Con una rilevazione di questo tipo, effettuata nell’agosto 2017, il team di LIGO stima che H0 sia circa 70 chilometri al secondo per megaparsec, ma le incertezze di questa stima sono abbastanza grandi da accogliere sia i risultati di Planck sia quelli di SH0ES.
Questa situazione potrebbe cambiare presto. Chen dice che tra cinque anni LIGO dovrebbe vedere circa 50 di quegli eventi, abbastanza per produrre una stima di H0 con una precisione del 2 per cento. “È un metodo totalmente indipendente. Non è collegato né a SH0ES né a Planck”, afferma Chen. “Sarà molto interessante vedere cosa otterremo da questa misurazione”.
Se i numeri di LIGO finiranno per avvalorare quelli di SH0ES, allora dovranno essere messe in discussione le ipotesi che sono alla base delle stime di Planck.
Lewis, membro della collaborazione Planck, pensa che ci siano due ragioni per cui la stima di Planck potrebbe cambiare e avvicinarsi a quella di SH0ES: o la fisica dell’universo primordiale era diversa, tanto da trasformare in qualche modo le previsioni delle dimensioni angolari degli hot spot del fondo cosmico a microonde, o l’evoluzione più recente dell’universo non è esattamente la stessa di quella prevista dal modello standard della cosmologia.
Entrambi gli scenari richiederebbero revisioni significative del modello standard, ma secondo Lewis, modifiche alla evoluzione recente dell’universo sarebbero difficili da conciliare con ciò che sappiamo della sua struttura su larga scala e con le osservazioni apparentemente solide delle supernovae.
“Il fatto interessante è che se la discrepanza è dovuta a una nuova fisica precedenta alla ricombinazione, avrà quasi certamente delle firme inconfondibili”, dice Lewis. Queste firme si mostrerebbero nei dettagli più fini del fondo cosmico a microonde, dettagli che la prossima generazione di telescopi per il CMB, come l’imminente Simons Observatory, potrebbe vedere.
Riess pensa anche che la discrepanza punta il dito contro il modello standard dei cosmologi. “A un certo punto, dovremo ammettere che nell’universo, nel modello cosmologico – nella composizione dell’universo o in qualche caratteristica della materia oscura o dell’energia oscura – c’è un’altra increspatura che potrebbe spiegare tutto questo,” dice. “E’ un’eventualità da prendere seriamente in considerazione”.
(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su “Scientific American” il 22 marzo 2019. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze)
di Anil Ananthaswamy/Scientific American
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