Titano e i suoi profondi laghi di metano

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Titano e i suoi profondi laghi di metano

Nell’emisfero nord del più grande satellite di Saturno ci sono numerosi laghi di metano. L’analisi dei dati raccolti dagli strumenti dalla sonda Cassini durante i 13 anni della sua missione mostra che alcuni sono profondi fino a 100 metri, mentre altri sono superficiali e si prosciugano con il cambio di stagione.

Due immagini di Titano riprese dalla sonda Cassini.

Ghiaccio e roccia. Così veniva descritta sommariamente la superficie di Titano, il più grande dei 62 satelliti naturali di Saturno, fino a pochi anni fa. Poi lo strumento RADAR montato sulla sonda Cassini, frutto della collaborazione tra la NASA, l’Agenzia spaziale europea (ESA) e l’Agenzia spaziale italiana, nel suo viaggio durato 13 anni attorno al pianeta degli anelli, ha documentato la presenza di centinaia di laghi e tre grandi mari di idrocarburi, distribuiti su una superficie di 700.000 chilometri quadrati nell’emisfero nord di Titano.
Questi depositi superficiali di idrocarburi – essenzialmente metano, ma anche etano in piccole quantità – non evaporano perché la temperatura media di Titano è di -180 °C, il che fa del satellite l’unico corpo del sistema solare oltre alla Terra in cui può esistere stabilmente materia allo stato liquido sulla superficie.
Il modello delineato dai planetologi è che esista un vero e proprio ciclo del metano che connette atmosfera, superficie e strati sotto la superficie.
Due articoli pubblicati sulla rivista “Nature Astronomy” forniscono ora una completa caratterizzazione dei laghi di Titano, delineando anche un plausibile modello della loro storia geologica.
Il primo articolo, firmato da Marco Mastrogiuseppe, del California Institute fo Technology, e colleghi di un’ampia collaborazione internazionale di cui fanno parte anche ricercatori della “Sapienza” Università di Roma e dell’Università “Gabriele D’Annunzio” di Pescara, si basa sulle misurazioni effettuate da Cassini durante l’ultimo sorvolo di Titano, il 22 aprile 2017. In particolare, la sonda è passata sopra a diversi laghi dell’emisfero nord con un diametro variabile tra 10 e 50
chilometri, a una quota di poco superiore ai 1000 chilometri.
Le rilevazioni altimetriche mostrano che questi laghi possono superare i 100 metri di profondità. La trasparenza al segnale radar, inoltre, è di soli 2,17 centimetri, e quindi dimostra che sono costituiti principalmente da metano. Si tratta quindi di una composizione decisamente diversa da quella del lago Ontario, situato nell’emisfero sud di Titano, già caratterizzato in precedenti studi come costituito da etano.
Questi laghi dell’emisfero nord si sono formati migliaia di anni fa per effetto di piogge di metano che hanno disciolto le rocce della superficie. I dati registrati da Cassini indicano che probabilmente c’è un processo di drenaggio del metano nel suolo, che però procede con un tasso più lento del riempimento dovuto alle piogge, impedendo il prosciugamento dei laghi.
Nel secondo articolo Shannon MacKenzie della John Hopkins University e colleghi di altri istituti di ricerca statunitensi e francesi hanno focalizzato l’attenzione su formazioni idrogeologiche nella zona dei laghi dell’emisfero nord di Titano che durante l’inverno del satellite appaiono come masse liquide, ma si asciugano in primavera (la transizione tra queste due stagioni dura circa sette anni terrestri).
Le analisi combinate dei dati di RADAR e di altri strumenti montati su Cassini come il Visual and Infrared Mapping Spectrometer (VIMS) e l’Imaging Science Subystem (ISS), indicano che questi tre “laghi fantasma” sono in realtà stagni poco profondi, e sono composti quasi totalmente da metano, oppure, in alternativa, poggiano su uno strato di terreno poroso, che rimuove in modo relativamente rapido l’etano, idrocarburo meno volatile del metano.
Posizione, dimensioni e stagionalità di questi laghi forniscono indicazioni importanti sui processi chimico-fisici che coinvolgono i sedimenti superficiali di Titano, nonché sui suoi fenomeni meteorologici, sull’evoluzione del clima e non ultimo sulla sua “abitabilità”: MacKenzie e colleghi lasciano poche speranze all’ipotesi della presenza di forme di vita, considerata la trascurabile concentrazione di nutrienti sul suolo del satellite.
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