Una nuova proteina per la tecnica CRISPR

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Una nuova proteina per la tecnica CRISPR

Conceptual illustration depicting the process of genetic engineering by replacing DNA (deoxyribonucleic acid) atoms using atom grasping arms.

Il set di strumenti della tecnica di editing genomico CRISPR si è arricchito di un nuovo enzima. Chiamato CasX, appartiene alla stessa famiglia della proteina Cas9 attualmente utilizzata, ma è più maneggevole, ed è stato isolato da un batterio “selvatico” che vive in acque sotterranee.
Specchio specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame? Fino a ieri la risposta era ovvia. Nel regno di CRISPR, la sovrana indiscussa è sempre stata la proteina Cas9.
Questo enzima programmabile, dotato di affilate forbici molecolari, ha consentito a tutti i ricercatori del mondo di tagliare il DNA in modo facile e preciso. Oggi però su Nature debutta un’altra pretendente, che si chiama CasX.
Questa nucleasi è più maneggevole, perché più piccina. È costituita da meno di mille aminoacidi, anziché 1300. Perciò potrà essere caricata più facilmente sui virus che fanno il servizio navetta verso il nucleo cellulare, portando a destinazione gli ingredienti per effettuare le operazioni di editing genomico.
Nei panni della madrina c’è ancora una volta Jennifer Doudna, la co-inventrice della tecnica CRISPR, che nel 2012 ha firmato il lavoro chiave sulla Cas9 e oggi firma questo sulla CasX.
Come la variante classica, anche l’ultima arrivata riesce a intervenire bene sia sul DNA batterico che su quello umano. Ma lo fa con una struttura e dei maccanismi d’azione diversi rispetto alla Cas9.
A rendere la CasX ancora più interessante è il fascino delle sue origini. Mentre la Cas9 proviene da un batterio potenzialmente patogeno coltivato in laboratorio (Streptococcus pyogenes), la CasX è originaria di un batterio “selvatico”. È stata pescata in acque sotterranee con la rete della metagenomica.

Jennifer Doudna (Creative Commons)

Durante lo scorso decennio Jillian Banfield, che come Doudna lavora a Berkeley, ha raccolto microbi in molte località, estraendo il loro DNA e costruendo
un’enorme collezione di sequenze. La ricerca di nuove molecole della famiglia Cas ha sfruttato questo database ed è stata descritta due anni fa sempre su Nature.
Sappiamo che i campionamenti sono avvenuti in luoghi suggestivi, come un sito minerario in Colorado e un geyser nello Utah, passando al setaccio le comunità microbiche, un po’ come facevano i cercatori d’oro filtrando fango e detriti. Alla fine dalle acque e dal terreno sono emerse alcune pepite, e la più preziosa sembra essere proprio la CasX.
Molte speranze vengono riposte anche in un’altra variante enzimatica presentata due settimane fa su Nature Communications da altri due pionieri di CRISPR, Feng Zhang del Broad Institute ed Eugene Koonin dei National Institutes of Health.
Si chiama BhCas12b (le prime due lettere ricordano che deriva da Bacillus hisashii), e i ricercatori hanno dovuto ingegnerizzarla per farla lavorare bene anche a temperature fisiologiche. In questo caso, dunque, la biodiversità naturale ha fornito la materia prima, e gli scienziati l’hanno ottimizzata.
La morale della favola è che la caccia al tesoro nel mondo microbico non è ancora finita. Tutto lascia credere che in futuro la scelta cadrà su questa o quella Cas a seconda delle caratteristiche dei singoli esperimenti che si vogliono eseguire.
Alla fine, probabilmente, la più bella del reame non sarà una sola. Nessuno deterrà un brevetto acchiappa-tutto. CRISPR insomma non sarà un’unica tecnologia, ma un insieme di strumenti.
(L’originale di questo articolo è stato pubblicato nel blog CRISPerMania il 4 febbraio 2019.)
di Anna Meldolesi
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