Gli dèi moralizzatori non c’entrano …

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Gli dèi moralizzatori non c’entrano con lo sviluppo delle società complesse

La pesa delle anime (dettaglio del Giudizio Universale, Saint-Pierre-le-Jeune, Strasburgo; © GodongUIGAGF)

Le grandi religioni basate su figure divine moralizzatrici si sono diffuse in un’epoca posteriore al sorgere delle società umane complesse, e quindi non hanno avuto un ruolo nel loro sviluppo. E’ quanto sostiene un nuovo studio condotto con metodi quantitativi e statistici che mette in discussione la funzione prosociale delle religioni.
Circa 12.000 anni fa le società umane s’ingrandirono; tribù e villaggi si svilupparono in vaste città, regni e imperi nel giro di pochi millenni. Ma perché società così grandi e complesse potessero mettere radici, era necessario mantenere coesione sociale e cooperazione, anche tra estranei. L’elemento che ha permesso questo, hanno sostenuto molti ricercatori, è stata la religione.
Secondo questo punto di vista, una religione funziona particolarmente bene [a questo scopo] se stabilisce standard di moralità e comportamento e li impone con la minaccia di una punizione soprannaturale.
Questo può coinvolgere i cosiddetti grandi dèi che si preoccupano di chi si comporta bene o male, come nelle religioni abramitiche. Oppure, come nel concetto buddista del karma, le religioni possono imporre la moralità attraverso la cosiddetta “punizione soprannaturale dffusa”, con conseguenze spontanee che avvengono senza l’intervento di grandi dèi convenzionali.
Ma un nuovo studio, pubblicato su “Nature” mette in dubbio il ruolo di questo tipo di religione “prosociale” nel favorire società di ampie dimensioni. “Non è il principale motore della complessità sociale, come avevano previsto alcune teorie”, afferma Harvey Whitehouse, antropologo dell’Università di Oxford e tra gli autori principali dello studio.
Al contrario, lo studio suggerisce che le religioni prosociali sono apparse dopo che erano già emerse società complesse. Anche se queste religioni possono aver contribuito a sostenere e far crescere grandi società, l’analisi spiega che non erano necessarie fin dall’inizio perché le società si espandessero.

Monaci buddhisti

Le religioni prosociali possono dominare
il mondo di oggi, ma non l’hanno fatto in gran parte del passato dell’umanità, quando le persone in genere cercavano di placare dèi volubili con la preghiera e il sacrificio piuttosto che impegnarsi a essere buone. Le religioni prosociali erano “davvero non comuni”, dice Edward Slingerland, storico e studioso religioso dell’Università della British Columbia che non era coinvolto nel nuovo studio. “Eppure quando emergono, poi si diffondono”.
L’ipotesi delle religioni prosociali – che gli autori del nuovo studio definiscono anche ipotesi degli “dèi moralizzatori” – prevede che si siano diffuse perché hanno dato il via alle grandi società, che alla fine sono arrivate a dominare ampie parti del mondo.
Le persone che vivevano in piccole tribù e villaggi spesso erano imparentate biologicamente o comunque si conoscevano bene, quindi era abbastanza facile sentirsi reciprocamente responsabili quando si trattava di cooperare e scambiare favori reciproci.
Ma le grandi società richiedono la cooperazione tra estranei che potrebbero interagire solo una volta, dice Slingerland. Di conseguenza, un gruppo di ricercatori, tra cui Slingerland e Ara Norenzayan, psicologo della UBC, aveva proposto che le religioni prosociali – in particolare quelle con i “grandi dèi” – fossero state necessarie per promuovere una cooperazione sufficiente a far decollare le società complesse. Alcuni esperimenti hanno scoperto che persone psicologicamente predisposte a pensare alle religioni prosociali sono più collaborative. Studi storici hanno anche suggerito che l’ascesa di quelle religioni coincise con l’aumento della complessità sociale.
Ma altre prove sono state contradditorie, trovando differenze tra i due tipi di religioni prosociali. Per esempio, uno studio del 2015 sulle società austronesiane ha trovato grandi dèi emersi dopo l’ascesa di società complesse, anche se il concetto di punizione soprannaturale diffusa era apparso prima. Uno studio del 2017 sulla Scandinavia dell’era vichinga ha trovato risultati simili.
Gli studi precedenti, tuttavia, si concentravano su regioni geografiche specifiche, mentre quello pubblicato ora riguarda tutto il mondo: si basa su una banca dati chiamata Seshat, che copre 414 società di 30 regioni geografiche attraverso 10.000 anni di storia.
Per costruire questo database, i ricercatori hanno esaminato la letteratura scientifica disponibile relativa a diverse società. Hanno stabilito quanto una società credeva nelle religioni prosociali, insieme a vari indicatori di complessità sociale tra cui la popolazione, le dimensioni del territorio e la presenza di codici legislativi e tribunali.
Gli autori hanno codificato queste informazioni in valutazioni numeriche e hanno utilizzato tecniche statistiche per calcolare un numero che riflettesse il livello di complessità di ciascuna società.
Quando i ricercatori hanno confrontato la crescita della complessità sociale con la cronologia della comparsa delle religioni pro-sociali, hanno scoperto che, nella grande maggioranza delle società, quelle religioni erano emerse successivamente, dopo che le società si erano espanse fino a raggiungere una popolazione di circa un milione di persone.
“Questo articolo ha portato danni sostanziali all’ipotesi dei grandi dèi, che si adatta a ciò che era stato trovato in precedenza”, dice Russell Gray, evoluzionista del Max-Planck-Institut per la Scienza della Storia umana, che faceva parte dello studio sull’Austronesia ma non di quello nuovo.
I nuovi risultati indeboliscono anche l’idea che sia necessaria una punizione soprannaturale diffusa per avere delle società complesse, dice. “Questa è di gran lunga la cosa migliore che ho visto arrivato finora dal tanto pubblicizzato progetto Seshat”.
Ma Slingerland è scettico. Sottolinea che molte delle voci del database Seshat non riportano alcuna consultazione con esperti. “Questo mi preoccupa”, dice. Molti elementi del database, come la fede nelle religioni prosociali, sono soggetti all’interpretazione e al dibattito, anche tra esperti che hanno passato la carriera a studiare specifiche società e periodi di tempo, osserva.
Senza esperti che controllino ogni inserimento di dati, aggiunge, il database potrebbe sottostimare l’incertezza o caratterizzare in modo errato una società. “Non sto dicendo che i dati siano tutti sbagliati”, dice. “È solo che non lo sappiamo: in un certo senso, ciò è altrettanto negativo, perché non conoscere significa non poter prendere sul serio l’analisi”.
Gli autori dell’articolo di “Nature” si sono consultati con dozzine di esperti, ma sarebbe stato impossibile reclutare studiosi per controllare tutti i 47.613 documenti che hanno analizzato, dice Patrick Savage, antropologo e statistico dell’Università Keio, in Giappone, che ha guidato il nuovo studio insieme a Whitehouse e a Pieter Francois, antropologo di Oxford. Anche senza la verifica di ogni voce da parte di esperti, Savage afferma che il gruppo rimane fiducioso sulla qualità dei suoi dati e delle sue analisi.
Dove c’erano incertezze o discrepanze, aggiunge, l’analisi statistica è stata ripetuta più volte con molteplici valori possibili dei dati. Ogni volta, si sono continuate a trovare religioni prosociali emerse dopo società complesse. Le conclusioni erano così forti e coerenti che discrepanze o errori di sorta nel database non sarebbero stati abbastanza rilevanti da fare molta differenza, dice.
Se lo studio resiste al controllo, non significa che gli dèi moralizzatori non abbiano alcuna relazione con le società complesse: potrebbero aver aiutato a rafforzare la coesione e la cooperazione, poiché queste società ne conquistavano altre e via via abbracciavano una popolazione più diversificata. “Non sono tutte cattive notizie per l’ipotesi degli dèi moralizzatori”, dice Whitehouse.

A far crescere la complessità sociale potrebbero aver contribuito anche altri aspetti della religione. Per esempio, Whitehouse ipotizza che la standardizzazione dei rituali religiosi potrebbe essere stata cruciale. Secondo l’analisi del suo gruppo, le prove archeologiche dei rituali corrispondono spesso alle epoche in cui le società sono diventate grandi, prima che comparissero le religioni prosociali. “Quando si tratta della nascita della complessità sociale”, hanno scritto gli autori dello studio, “il modo di adorare in definitiva potrebbe essere più importante di che cosa si adora”.
(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su “Nature” il 20 marzo 2019. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze)
di Marcus Woo/Scientific American
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