I gatti hanno conquistato noi umani. …

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I gatti hanno conquistato noi umani. E ce lo ricordano ogni giorno

I gatti hanno conquistato noi umani. E ce lo ricordano ogni giorno

Pensiamo che siano il nostro affetto e il nostro talento etologico a spingerli a noi. Ma non è così. E loro lo sanno bene
I gatti, ha scritto una volta Rossana Rossanda, sono alieni superintelligenti inviati in avanscoperta sulla Terra per osservarci. A volte ho la netta impressione che l’invasione sia già avvenuta, e che l’umanità, senza saperlo, sia già da tempo sottomessa ai felini giunti dallo spazio profondo. Di certo, molti gatti la pensano così.
Nel mondo degli animali, la gerarchia è anche un ordine spaziale di assoluta semplicità: chi sta fisicamente sopra è più importante di chi sta sotto. Nei cani il meccanismo è evidente. Quando carezziamo un cane sulla testa – andrebbe fatto di rado, e mai con un cane che non ci conosce – non gli facciamo affatto una coccola: gli diciamo che siamo noi a comandare. Se un cane poggia il muso sulla schiena di un altro, gli sta spiegando che il capo è lui. Quando gioco con Bonnie accucciato accanto a lei e poi mi alzo di scatto, la sua reazione è istintivamente di timore e immediatamente segnala sottomissione: raccoglie la coda e socchiude gli occhi. Se invece poggio una mano o un piede sulla zampa di Shylock, il lupo dopo un po’ libera la zampa e prova a sua volta a conquistare la posizione superiore.
Se applichiamo questo schema al comportamento dei gatti, appare chiaro come esercitino da sempre, indisturbati quanto tenaci, la loro funzione di comando su di noi. Al netto dei casi estremi – ho conosciuto una volta una gatta rossa che trascorreva la sua vita in quota, fra scaffali e mobili, senza mai scendere a terra – è infatti noto che i gatti preferiscono stare in alto, e da lì osservare il mondo o, più spesso, sonnecchiare beati. Jefferson, il nostro Maine Coon invisibile, quando viveva a Roma sostava per giorni a metà della scala a chiocciola che porta alla terrazza. E adesso, in campagna, si pietrifica per ore su un muretto che separa le scale dal salone, ad un buon metro da terra, osservandomi con i suoi occhi sgranati da bandito.
Lola, adorabile gattaccia tricolore dal pessimo carattere e turbolenta fidanzata di Jefferson, mi si piazza invece in grembo o, se sono sdraiato, fra collo e petto e da lì rifiuta tenacemente di muoversi. E’ questo il famoso fenomeno del «gatto di marmo», che tutti abbiamo conosciuto: se è intenzionato a restare dov’è, un micio può pesare più di un quintale. E poi ci sono i gatti che saltano sui tavoli, s’arrampicano sulle tende, dormono sui davanzali, si appollaiano sulla testiera del letto, s’accovacciano sopra televisori e appendiabiti, s’accucciano fra guardaroba e soffitto…
Conquistare e mantenere una posizione superiore naturalmente è anche un vantaggio importante per la sicurezza del micio: controlla meglio la situazione, vede più lontano, individua per primo la preda o il pericolo, ha più vie di fuga a disposizione. Ma anche questo aspetto, se ci pensiamo, è parte della superiorità gerarchica: proprio perché sono un gatto che conta, posso godere di un posto sicuro dove stare. Tra l’altro, gli umani raramente fanno obiezioni.
Già, perché il bello – per il micio, ma anche per noi – è che siamo felici di avere un gatto addosso che impasta il pane sul maglione nuovo e, se siamo davvero fortunati, direttamente sul cranio, che ci infila la coda nel naso e che, ogni volta che proviamo a spostarlo, ritorna con precisione millimetrica esattamente dov’era prima – anche per dieci volte consecutive. Siamo insomma felicemente sottomessi, senza neppure saperlo, e ne godiamo spensierati i benefici, convinti che siano il nostro affetto o il nostro talento etologico a spingerli verso, anzi sopra di noi. E invece sono loro che ci hanno conquistati, e ogni giorno si sentono in dovere di ribadirlo.
di Fabrizio Rondolino
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