Gli esopianeti inclinati spiegano un mistero …

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Gli esopianeti inclinati spiegano un mistero astronomico

llustrazione del telescopio spaziale Kepler della NASA (Credit NASAJPL-Caltech)

Durante il processo di formazione di un pianeta, il suo asse di rotazione può inclinarsi verso la sua stella in misura variabile. Quando questa inclinazione diventa importante, può interferire con l’accoppiamento di risonanza tra pianeti, alterando alcuni parametri orbitali. E’ questa la spiegazione proposta per le anomalie rilevate dal telescopio spaziale Kepler in molti pianeti extrasolari.
Sulla Terra, poche persone hanno familiarità con il concetto di obliquità planetaria, ma tutti ne sentiamo gli effetti: l’obliquità misura l’inclinazione orbitale di un pianeta rispetto alla sua stella, che è quello che determina l’alternarsi delle stagioni sulla Terra. Ora, gli astronomi stanno proponendo che i cambiamenti dell’obliquità possano fare ancora di più.
Secondo una nuova ricerca pubblicata su “Nature Astronomy”, quando la rotazione e l’orbita di un pianeta si allineano nel modo giusto, possono inclinare il pianeti abbastanza da costringerlo a stare più lontano o più vicino alla sua stella. I risultati possono aiutare a spiegare un mistero quasi decennale che riguarda migliaia di pianeti scoperti dal telescopio spaziale Kepler della NASA.
Per quanto le stagioni siano importanti per le nostre vite, sono state spesso trattate come poco più che errori di arrotondamento quando si considerano le forze che modellano un intero pianeta dal nucleo, alla crosta, fino al tetto delle nuvole. Insieme al fatto che attualmente è molto difficile misurare l’inclinazione di un pianeta extrasolare, questo ha portato la maggior parte degli astronomi per lo più a ignorare l’obliquità quando elaborano i modelli dell’evoluzione dei sistemi planetari. Ma nel loro studio, Sarah Millholland e Greg Laughlin, entrambi della Yale University, rivelano che le maree causate dall’obliquità possono avere effetti drammatici. “Le grandi obliquità producono maree più forti e le maree fanno muovere il pianeta”, spiega Millholland.
Accoppiamento di pianeti
Prima di Kepler, gli astronomi conoscevano solo una manciata di sistemi esoplanetari, la maggior parte dei quali con un unico mondo conosciuto. Basandosi sugli studi del nostro sistema solare, si aspettavano che molti di quei pianeti fossero accoppiati per effetto della risonanza, un effetto in cui le interazioni gravitazionali tra i pianeti assicurano che i rapporti dei loro periodi orbitali siano piccoli numeri interi.

Immagine in falsi colori del pianeta Urano catturata dal telescopio spaziale Hubble (Credit NASAErich KarkoschkaUniv. Arizona)

Per esempio, un pianeta esterno in risonanza con uno interno potrebbe fare un singolo giro intorno alla sua stella ogni due rivoluzioni dal suo compagno più vicino, realizzando una cosiddetta risonanza 2:1. Il risultato è che i due mondi formano una configurazione molto stabile in cui ogni volta passano l’uno di fronte all’altro nello stesso punto delle loro orbite. Queste risonanze, si pensava, si costituiscono presto nella vita dei pianeti, emergendo quando si muovono insieme nei loro dischi di formazione di gas e polvere attorno alle stelle appena nate.
I pianeti intorno al Sole non ricadono in questi schemi, ma molte delle loro lune sì. Vari satelliti dei giganti gassosi sono legati insieme in quelle risonanze. “Accade molto più spesso di quanto ci si aspetterebbe dal puro caso”, afferma Douglas Hamilton dell’Università del Maryland, College Park, che non era coinvolto nella nuova ricerca.
Kepler è risultato particolarmente abile nel rilevare sistemi multiplanetari in cui i pianeti orbitano “gomito a gomito”, accoppiati tra loro in configurazioni risonanti. Ma quando nel 2010 è stato annunciato il primo gruppo di mondi visti da Kepler, gli astronomi hanno subito capito che qualcosa non andava. I pianeti accoppiati si sono rivelati comuni, ma la maggior parte di essi era sempre leggermente fuori sincrono, lontano dai limiti di una risonanza, e passavano l’uno di fronte all’altro un po’ più lentamente o più velocemente del previsto. Sembrava che qualche forza sconosciuta avesse allontanato i pianeti accoppiati. “È stato un risultato entusiasmante”, afferma Darin Ragozzine, astronomo della Brigham Young University che studia gli esopianeti e ha contribuito a svelare il mistero nel 2011.
Gli astronomi si sono precipitati quasi subito sulla questione. Secondo Ragozzine, che non faceva parte del nuovo studio, gli scienziati sospettavano che i pianeti fossero accoppiati in risonanze ben prima che qualcosa interferisse. Tra i sospettati, c’erano gli asteroidi che spingevano sui pianeti, le pressioni create mentre il gas del disco si dissolveva e le maree sollevate dalla forza gravitazionale della stella, ma nessuno di questi sembrava il fattore causale corretto, almeno fino a quando Millholland e Laughlin non hanno spostato lo sguardo verso l’obliquità.
Piani oscillanti e trottole
Le teorie standard sulla formazione dei pianeti affermano che, quando nascono, i loro equatori sono puntati verso la stella e i loro poli puntano dritti fuori dal disco che li circonda. Le interazioni con altri oggetti nel corso della loro vita possono cambiarne le obliquità, inclinandoli in misura lieve o enorme. Attualmente la Terra ha un’inclinazione di 23,5 gradi, favorita dall’influenza della Luna. Urano, al contrario, è inclinato di 97,9 gradi, con i poli che si trovano sullo stesso piano del Sole, presumibilmente perché il pianeta è stato messo di traverso da qualche urto che lo scosse molto tempo fa.
Qualunque sia la sua causa fondamentale, l’inclinazione di un pianeta può mostrare ulteriori cambiamenti mentre ruota, proprio come le oscillazioni di una trottola. In un arco di circa 40.000 anni, l’obliquità della Terra oscilla tra 22,1 a 24,5 gradi. Nel frattempo, il polo non rimane nello stesso posto; inoltre, traballa leggermente come la base di una trottola che si muove su un tavolo in un ciclo di circa 26.000 anni chiamato precessione di spin. Tutto questo accade mentre il pianeta si sposta intorno al Sole lungo un’ellisse. Ma c’è di più! Anche l’ellisse si sta spostando leggermente, mantenendo le stesse distanze ma ruotando sempre lentamente attorno alla stella.
Finché i cambiamenti avvengono su quantità di tempo diverse, rimangono separati, senza influenzarsi l’un l’altro. Ma Millholland e Laughlin hanno scoperto che, se il tempo che impiega l’ellisse orbitale per spostarsi è uguale alla durata della singola rivoluzione circumstellare di una precessione di spin, si crea una potente sinergia. “Quando questi due diventano uguali, allora si legano insieme”, dice Laughlin. “Se cambia uno, l’altro cambierà di conseguenza”.

Trottole di legno (veloce movimento inclinato)

La dimostrazione preferita di Laughlin di questa relazione difficile da capire è un semplice insieme di trottole di legno che gira su un piatto, in cui la trottola rappresenta un pianeta e il piatto la sua orbita. Spostando il piatto avanti e indietro alla giusta velocità, è possibile far continuare a ruotare una trottola ben oltre il momento in cui si sarebbe fermata naturalmente. L’oscillazione del piatto e la rotazione della trottola diventano collegate quando hanno la stessa velocità, in modo che un cambiamento nel movimento del piatto influenza la trottola. “È un’analogia tangibile molto vicina a quello che i pianeti stanno sperimentando con la rotazione su loro stessi e con le loro orbite”, afferma Millholland.
Per i pianeti, i cambiamenti di inclinazione verso le loro orbite si verificano all’inizio della loro vita. In un arco di forse 10 milioni di anni, il gas nel loro disco di formazione scompare, inghiottito dalla crescita di pianeti giganti o spazzato via da venti stellari. Con poco o nessun gas rimanente che spinge, i pianeti smettono di andare alla deriva e si sistemano in orbite stabili; questa stabilizzazione agisce fino a rallentare la precessione di rotazione di un pianeta, estendendo la durata impiegata da quella precessione per completare una rivoluzione. Infine, il rallentamento costringe lentamente il pianeta a inclinarsi lateralmente sempre di più.
Questo cambiamento non avviene a costo zero. “Se inclini il pianeta, questo finisce per aumentare la forza delle maree”, dice Hamilton. Quelle maree quindi spingono il pianeta fuori dalla sua orbita a un ritmo molto lento, portando infine a un insieme di mondi sempre leggermente spostati dall’assoluta armonia orbitale con i pianeti che sono loro vicini: vale a dire, la stessa sconcertante disconnessione rilevata nei dati di Kepler. “Questa è una soluzione molto interessante e intelligente che potrebbe rivelarsi il fattore dominante”, afferma Ragozzine. (Dominante almeno per gli esopianeti: la spiegazione di Millholland e Laughlin non si applicherebbe ai nostri esempi locali di risonanza orbitale – i sistemi ricchi di satelliti del sistema solare – perché quei satelliti restano bloccati in posizione dagli effetti di marea dei loro pianeti).
Gli studi di Millholland e Laughlin potrebbero essere i primi passi indispensabili per risolvere il mistero di Kepler, ma è improbabile che siano gli ultimi. “L’obliquità è una cosa che la gente ha trascurato perché non sperava di poterla mai osservare”, dice Daniel Fabrycky, astronomo dell’Università di Chicago, che non ha preso parte al lavoro. Fabrycky è convinto che questo nuovo studio spronerà altri astronomi a dare un altro sguardo all’effetto dei pianeti inclinati, che a loro volta potrebbero rivelare ulteriori complessità ancora non considerate.
Mondi inclinati
Cambiare il modo in cui un pianeta s’inclina verso il Sole ha vari effetti planetari importanti. L’attrazione mareale di una stella è sufficiente a creare un rigonfiamento attorno a un pianeta vicino, e i pianeti di Kepler sono tutti abbastanza vicini da sperimentare tali effetti. Il movimento di materiale all’interno del pianeta genera calore, riscaldando l’interno del mondo e alimentando potenzialmente le eruzioni vulcaniche e altri fenomeni geologici.
E’ quello che è successo a Io, una luna di Giove. Anche se la sua obliquità non è elevata, la sua orbita ellittica “massaggia” l’interno del satellite grazie all’attrazione gravitazionale di Giove. Il risultato è una piccola luna che è l’oggetto più vulcanicamente attivo nel sistema solare. Ciò non significa che la maggior parte dei pianeti inclinati assomiglino a Io, ma “è una cosa che potrebbe capitare facilmente”, dice Laughlin.
Un’inclinazione influenzerebbe anche gli schemi meteorologici di un pianeta extrasolare.
La maggior parte dei mondi scoperti da Kepler e considerati nello studio era ritenuta “bloccata marealmente”, in cui un emisfero si affaccia permanentemente verso la stella ospite del pianeta, creando un lato illuminato a giorno e uno nell’oscurità della notte. Inclinare un pianeta equivale a liberarlo da quel vincolo, ma potrebbe alterare profondamente i venti dominanti, e in alcuni casi creare giorni e notti estremamente lunghi, che durano per metà dell’anno del pianeta. Il futuro telescopio spaziale James Webb della NASA dovrebbe consentire agli astronomi di studiare questa differenza tra il giorno e la notte e forse misurare l’inclinazione di quei mondi. “Potremmo vedere l’emissione termica di un pianeta lungo l’intera orbita e la differenza tra il lato illumitato e quello oscuro”, dice Millholland. “Potrebbe essere un segno di obliquità”.
Anche se Ragozzine e Hamilton sono ottimisti sui risultati, Fabrycky non è completamente sicuro che le nuove scoperte spiegheranno tutti i pianeti bizzarramente inclinati rilevati da Kepler. “Non sono del tutto convinto che spiegherà tutto, ma hanno dimostrato che è un meccanismo importante”, dice.
Laughlin osserva che questo meccanismo non rappresenta ogni pianeta con un’orbita appena decentrata. Dopotutto, alcuni pianeti finirebbero in tali orbite per caso. Invece, egli sostiene che la teoria ha lo scopo di spiegare l’eccesso di pianeti che Kepler ha rivelato. Di per sé, non permetterà ai ricercatori di indicare un singolo pianeta e dire se la sua orbita derivi da casualità o se la sua inclinazione l’abbia spinta su un lato. Pensiamo ancora a Urano e alla sua inaspettata inclinazione: probabilmente ha avuto origine da un impatto globale del pianeta, non da una sottile inevitabilità della meccanica celeste.
Millholland e Laughlin rimangono ottimisti. “Pensiamo che questo spieghi il mistero che da anni toglie il sonno ai planetologi”, dice Laughlin.
(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su “Scientific American” il 4 marzo 2019. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze)
di Nola Taylor Redd/Scientific American
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