Quanto è profondo il dono

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«Certi doni si danno agli amici, certi altri agli sconosciuti; il dono diventa più prezioso – pur essendo sempre lo stesso – se inaugura una catena di relazioni»
(Seneca, De beneficiis, III, XII, 1)
Quello del donare è un gesto che ha sempre interessato filosofi, scienziati, antropologi, psicologi, sociologi, perché ha in sé un aspetto che non sembra del tutto razionale, ossia ha un costo in cui la ricompensa, se c’è, è dilazionata nel tempo: se ha un’utilità, non è immediatamente evidente. Eppure gli esseri umani si scambiano doni da sempre e in ogni cultura.
Già Aristotele, nell’Etica Nicomachea, distinse il dono dallo scambio economico, e Seneca nel De beneficiis ne mise in risalto il carattere di spontaneità: perché ci sia beneficio, è necessario che il dare, l’accipere (il ricevere) e il reddere (il restituire) siano libenter dare, libenter accipere e libenter reddere; chi dona deve dimenticare di aver donato, ma chi riceve deve “sopravvalutare” quanto ha ricevuto, altrimenti non si instaura quel circolo virtuoso che rende una società etica e coesa.
Lo studio del dono è poi diventato centrale in antropologia e sociologia, che ne hanno colto gli aspetti utilitaristici più che il carattere di gratuità e di disinteresse. Boas (The social organization and the secret societies of the Kwakiutl Indians, 1895), osservando la cerimonia del potlatch in uso tra alcuni gruppi di nativi nord-americani, durante la quale si distribuivano doni e si distruggevano senza apparente scopo beni di valore, ne metteva in rilievo la funzione di ostentazione del proprio status sociale e quindi di riaffermazione gerarchica (ed è buffo notare che, quando tale pratica fu proibita dai colonizzatori in quanto inutile, i nativi la difesero paragonandola proprio al nostro Natale). Malinowski (Argonauts of the Western Pacific, 1922) analizzò la funzione espansiva (in senso conoscitivo, relazionale e anche economico) dello scambio rituale di doni nelle Isole Trobriand nel corso della cerimonia del kula, che spingeva i Trobriandesi a esplorare e a stringere legami di amicizia in altre isole, rendendo così possibile anche l’estensione del commercio di oggetti utili oltre che lo scambio di quelli simbolici (collanine e braccialetti). Mauss (Essai sur le don: forme et raison de l’échange dans les sociétés arcaïques, 1923) lo considera nelle culture arcaiche un obbligo sociale e un vincolo comunitario di tale rilevanza da costituire un «fatto sociale totale», un «fatto» cioè in relazione con tutti gli altri principali fenomeni sociali, religiosi, politici ed economici. Per Lévi-Strauss (Les structures élémentaires de la parenté, 1949), ancora, il contraccambio del dono è il vantaggio di appartenere a un gruppo e manifesta, inoltre, in alcuni contesti uno scopo competitivo. Molti dei tentativi meno disastrosi di rapporti tra europei e altre culture passarono attraverso lo scambio di doni e il tentativo di attribuirvi una comune simbologia.
Sia che se ne sottolinei l’obbligatorietà, sia che se ne enfatizzi invece la spontaneità, sia che avvenga tra pari, sia invece che rappresenti un modo di affermare le differenze, quello del donare è, comunque, un gesto radicatissimo negli umani, ed è una delle massime espressioni della loro natura sociale. Uno studio di paleontologia (2017) sostiene che un tratto adattivo vincente dei Sapiens rispetto ai Neanderthal fu quello di creare legami tra gruppi diversi, evitando così l’endogamia, mediante lo scambio di oggetti ornamentali o di altro genere. Ricerche di psicologia (2017) hanno, inoltre, mostrato, attraverso la risonanza magnetica funzionale, che la sola idea di compiere un atto generoso mette in contatto le aree cerebrali della giunzione temporoparietale, cruciale nelle decisioni morali e nei sentimenti di empatia, della corteccia orbito-frontale, legata ai processi di pianificazione, e dello striato ventrale, connesso alla gratificazione, ai sentimenti di felicità. Infine, diverse indagini hanno mostrato che le persone impegnate in attività di volontariato manifestano mediamente un livello di soddisfazione esistenziale più alto di coloro che lavorano solo per profitto. Insomma, lo scambio di doni (anche quello natalizio, nonostante i suoi eccessi) non può essere ridotto a mero spreco consumistico, poiché è un collante comunitario fondamentale.
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